Roma - Addio alla toga. Senza rimpianti. Almeno non da parte dei suoi colleghi e di molti italiani. Antonio Ingroia lascia la magistratura. Lo fa con un'intervista a Repubblica in cui veste gli amati panni della vittima. Racconta di aver preso «la decisione più sofferta dei miei 54 anni», di essersi sentito «un uomo e un magistrato solo», di aver vissuto la destinazione ad Aosta «una scelta punitiva con motivazioni politiche». Spiega che sarebbe «rimasto in magistratura se mi fosse stata data la possibilità di mettere a frutto la mia esperienza ventennale di pm antimafia in Sicilia. Ma c'è chi non vuole, il Csm in testa». E l'atto d'accusa all'organo di autogoverno della magistratura va oltre: «Negli ultimi anni è cresciuto dentro di me il senso di estraneità rispetto alle logiche politiche del Csm e alle timidezze e all'ingenerosità dell'Anm nel difendere i magistrati più esposti della procura di Palermo». «Adesso sono convinto - conclude Ingroia - che la magistratura, nelle condizioni in cui si trova, non possa fare grossi passi avanti se non cambia la politica». Insomma, Ingroia ha ricevuto una vera e propria chiamata all'agone politico. Che poi l'agone politico stesso non sembri condividere questo destino ineluttabile, vedi il tonfo di Rivoluzione Civile alle elezioni politiche di febbraio, è un sospetto che non sembra sfiorare il magistrato rosso.
Il 18 giugno sarà tutto finito. Davanti al Procuratore di Aosta Marilinda Mineccia Ingroia firmerà la lettera di dimissioni e metterà la toga in naftalina. E il bello è che a Palazzo dei Marescialli, sede del Csm, nessuno vuol sbarrare mezzo portone in segno di lutto: «Ingroia lascia la magistratura per la politica? Ce ne faremo una ragione», scherza il vicepresidente del Csm Michele Vietti che poi, più serio, spiega: «La magistratura non chiude la porta a nessuno, né in entrata né in uscita. Non faccio repliche e non entro sul terreno della polemica». Più duro Vittorio Borraccetti, consigliere di Magistratura democratica, la corrente nella quale ha a lungo militato lo stesso magistrato siciliano: «Ingroia ha danneggiato la magistratura e la credibilità di quello che ha fatto prima». Borraccetti definisce «inaccettabili» le accuse di Ingroia al Csm di averlo punito per le sue inchieste: «Nessuno lo ha punito né ha ostacolato l'indagine sulla trattativa». E anche l'Anm non ci sta. Il presidente Rodolfo Sabelli respinge l'accusa di Ingroia di essere stato lasciato solo («Se il dottor Ingroia è a conoscenza di fatti e dati specifici allora lo può dire, altrimenti credo che si debba evitare assolutamente questo tipo di affermazioni») e di essere stato confinato ad Aosta («nessuna ritorsione, solo l'applicazione della normativa vigente»).
La politica, almeno quella di centrodestra, non gli dà il benvenuto. «Non è grave che Ingroia lasci la toga. È grave che l'abbia indossata», dice Maurizio Gasparri. Jole Santelli parla di «abbandono sospetto», mentre Laura Ravetto lo invita a cambiare il nome del movimento: da «Azione Civile» ad «Azione Penale».
Lui, Ingroia, il nome lo cambia davvero: ecco «Azione civile per la Costituzione». Poi fissa le assemblee regionali e cerca di sedurre i parlamentari del M5S. I quali saranno pure in confusione, ma non così tanto, suddài.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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