L'effetto sorpresa è mancato. Chiunque abbia visto, in queste settimane, il povero Ingroia parcheggiato in permanenza sotto le palme, in diretta tv con qualunque trasmissione italiana lo interpellasse, aveva capito che l'ex pm si sentiva un pesce fuor d'acqua, all'Onu. E che non vedeva l'ora di trovare una via di fuga per il Palazzo.
Però qualche ovazione il quasi ex pm se la aspettava, e non è arrivata. Persino il Fatto - che era l'organo dell'inchiesta sulla «trattativa» e che metteva in prima pagina le sue esilaranti corrispondenze guatemalteche - ieri lo ha picchiato duro: una gragnuola di commenti, da Padellaro a Gomez al criminologo Achille Saletti, per dire al pm che farebbe meglio a evitare. Certo, il Fatto tifa Grillo e la banda Ingroia-De Magistris-Ferrero-Diliberto-Di Pietro rischia di togliere un po' di voti proprio al comico, ma il segnale non è buono.
Anche perché, finora, nessuno si vuole esporre a loro favore: hanno chiesto a Michele Santoro di candidarsi, e quello gli ha risposto che al massimo poteva prestargli Sandro Ruotolo. Hanno implorato il leader Fiom Landini di benedirli (e portargli voti, soprattutto) e quello gli ha spiegato che: 1) c'è il responsabile Fiom-auto Giorgio Airaudo candidato con Sel, e lui non può fargli campagna contro; 2) che mira a fare il segretario della Cgil più che a perder tempo con loro. Alla fine, ieri, gli ha concesso una striminzita pacca sulla spalla, per levarseli di torno: «Ingroia? Può essere una possibile risorsa. Ma il sindacato non si allinea». Persino De Magistris, che vuol fare il padrino dell'operazione, si guarda bene dallo spendersi in prima persona, nonostante gli scarsi successi da sindaco. Gli altri sindaci hanno chiuso la porta. Anche Di Pietro, che pure ha i suoi bei guai, ci va cauto e non pare avere molte intenzioni di sciogliere Idv (come De Magistris vorrebbe) nel contenitore arancione. Insomma, alla fine di testimonial pronto a candidarsi resta solo Ingroia, l'ennesimo pm pronto al salto della quaglia: l'Swg li quota allo 0,5%, non proprio un trionfo.
E poi c'è il Pd. Loro vorrebbero allearcisi, per mettersi al sicuro (in coalizione il quorum si abbassa al 2% alla Camera e al 4% al Senato), e stanno facendo avance di ogni tipo, spiegando che l'intesa con gli Arancioni sarebbe preziosa «per controbilanciare quella con i centristi», e per garantirsi il premio di maggioranza al Senato nelle regioni a rischio, come Veneto e Lombardia. Per ora tutte respinte al mittente, con una motivazione indicibile ma chiara («Se Bersani si allea con Ingroia, Napolitano non lo riceve neanche al Quirinale, altro che dargli l'incarico», ironizza un dirigente Pd). Il piano B della banda arancione è quello di allearsi col Pd dopo le elezioni, quando «avranno bisogno di noi per avere una maggioranza solida».
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