RomaRispetto al milione chiesto come risarcimento per l'insulto, tutto sommato la Guzzanti se l'è cavata con poco. Quarantamila euro (nessuna condanna penale perché la causa era solo civile), un quarto di quanto si era fatta togliere dal Madoff dei Parioli cercando di speculare in Borsa. Tutto sommato poco rispetto all'evidenza della diffamazione, fatta in piazza Navona e poi ripresa da tg e giornali, durante un No Cav day nel 2008. La ripetiamo, non per reiterare il reato, ma per completezza di informazione: «Tu non puoi mettere alle Pari opportunità una che sta lì perché t'ha succhiato il xxx, non la puoi mettere da nessuna parte ma in particolare non la puoi mettere alle Pari opportunità perché è uno sfregio». Poi una versione inedita della canzone delle osterie, che finiva con le rime «e se al letto son portento, figuriamoci in Parlamento / dammela a me Carfagna/ pari opportunità».
Satira? Per Sabina Guzzanti sì, senza dubbio. Anzi, lo stesso atto di citazione della Carfagna era, disse lei, «tutto materiale per sketch satirici», e che «cerca di introdurre un precedente pericoloso, che la satira debba stare entro certi limiti». Sicurissima che quanto detto rientra in tutti i limiti del lecito: «I miei giudizi su di lei sono fondatissimi, i suoi (della Carfagna, ndr) su di me sono assolutamente gratuiti». Il problema non è il giudizio sulla capacità o inettitudine di un ministro, che sarebbe perfettamente lecito (sulla carriera fulminea della Carfagna si è polemizzato anche dentro il centrodestra), ma l'offesa specifica (dare della prostituta a una donna rientra nel campo delle offese) e l'allusione a prestazioni sessuali che, per la Guzzanti, sarebbero «fondatissime», sulla base di informazioni precise. Ma quali? Le voci, mai documentate, su un'intercettazione in cui la Carfagna discetterebbe di sesso. Si disse che la telefonata era stata pubblicata da un giornale argentino, El Clarin, perché in Italia era stata censurata (com'è noto in Italia non esce nessuna intercettazione).
In realtà El Clarin non pubblicò mai nulla del genere, ma solo un pezzo in cui si dava conto di quella voce. Dunque una bufala (altrimenti potremmo dire che c'è un'intercettazione in cui la Guzzanti dice le stesse cose, se non ci fosse l'onere della prova), a cui la Guzzanti ha aggiunto l'insulto, chiaramente diffamatorio secondo il giudice del Tribunale civile di Roma che l'ha condannata al risarcimento, a titolo di danno morale «in relazione alla gravità dell'offesa e della diffusione pubblica della medesima», compiuta attraverso una «aggressione gratuita alla reputazione del personaggio pubblico». La Carfagna non commenta la sentenza, che «si commenta da sola», ma cita «due principi fondamentali» stabiliti dal Tribunale. «Il primo, che le intercettazioni di cui si parlava non esistono. Il secondo: la satira non può dileggiare l'onore».
La Guzzanti, a quattro anni di distanza, e dopo la condanna, sembra essersi convinta di aver sbagliato. «Ho avuto torto, non è un titolo sarcastico è la verità. Ho offeso la Carfagna» scrive la comica sul suo blog. Con un bel però: «La Carfagna ministro mi era sembrata uno sfregio.
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