Intercettazioni, nessuno batte gli spioni italiani

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«Nessuno è importante come un cliente Vodafone», giura lo slogan. E i governi di mezzo mondo lo sanno bene: ascoltano le telefonate di migliaia di clienti del gigante della telefonia, raccolgono dati, ne ricostruiscono vite e abitudini, ne «tracciano» gli spostamenti.
Più il telefonino che abbiamo in tasca è avanzato, tecnologico e utile per gestirci le giornate, più fatti nostri sveliamo all'occhiuta attenzione dei governi . Naturalmente non è una scomoda esclusiva dei clienti Vodafone, ma la multinazionale britannica della telefonia è la prima a rivelare numeri alla mano fino a che punto arrivi il livello di intrusione in ciascun Paese. Ieri il solito Guardian, il giornale inglese che da mesi cavalca lo scoop sul «datagate», ha sparato in (...)

(...) prima pagina l'inedito «Law enforcement disclosure report» di Vodafone, un dossier per la trasparenza sugli «obblighi di legge» in materia di intercettazioni, un passo che la compagnia spiega di aver intrapreso per sincerità verso i suoi clienti. Essendo la questione ormai un tormentone popolarissimo presso il vasto pubblico ossessionato dalla privacy, ora la compagnia possa vantarsi di essere paladina della riservatezza.
Ma ecco le vere rivelazioni contenute nelle 40.000 parole del dossier: in alcuni Paesi, annuncia Vodafone, i governi hanno collegamenti diretti con le reti telefoniche, accessi via cavo che permettono alle agenzie di spionaggio di ascoltare le conversazioni degli utenti, senza filtro né autorizzazione alla compagnia o di giudici. Una pratica contro la quale Vodafone promette di battersi: «Facciamo un appello perché i governi pongano fine a questi accessi diretti - ha detto al Guardian Stephen Deadman, responsabile privacy del gruppo telefonico - il fatto che le agenzie siano costrette a chiedere un pezzo di carta rappresenta un vincolo importante sul modo in cui questi poteri vengono usati». La seconda notizia che emerge dal rapporto ci riguarda più da vicino: è l'Italia ad avere il poco ammirevole record di richieste di accesso ai dati telefonici personali. La sola Vodafone ha ricevuto dalle autorità italiane richieste di accesso ai «metadati» di oltre 600mila utenze: a chi sono intestate, dove si trovava il tal telefonino il tal giorno, siti visitati, abitudini, orari gusti. Nessuno dei Paesi monitorati da Vodafone in Europa ha chiesto tanti dati. Il Regno Unito, che pure è la madrepatria della compagnia, si ferma a 514mila.
Ancor più evidente è la sproporzione sul fronte delle intercettazioni vere e proprie. Nel 2013 sono finite sotto ascolto 140mila utenze italiane, contro le 2.700 inglesi.
Va detto che il paragone non è immediato, perché dipende tutto da come le leggi imbrigliano la smania origliante delle autorità. Stando alle rivelazioni della talpa Edward Snowden, i servizi inglesi hanno una centrale di ascolto, il Gchq e possono contare su un forte contributo spionistico delle potenti agenzie americane, in primis la Nsa, che per entrare nelle vite delle persone non chiede al magistrato e non bussa alla porta: è una delle centrali che ha l'accesso diretto alle reti telefoniche e internet. «In Italia è ben diverso - spiega Tommaso Palombo, presidente di Ilia, l'associazione delle aziende che forniscono servizi di intercettazione - i nostri 007 devono chiedere l'autorizzazione ai magistrati per ogni richiesta di ascolto e anche di informazioni. E se una persona ha tre telefonini, servono altrettante autorizzazioni. E questo moltiplica i numeri di Vodafone: francamente io da quel rapporto ricavo una sensazione di garantismo». Insomma difficile dire se davvero l'alto numero di intercettati dipenda dal fatto che noi abbiamo le mafie o da un'eccessiva propensione a basare sempre di più le indagini sulla caccia alla telefonata. Ma almeno da noi queste operazioni sono autorizzate e lasciano traccia. Ecco perché appare fuori registro l'appello del Garante della privacy a «riaffermare l'idea che i diritti fondamentali debbano ancora essere discriminanti tra regimi democratici e quelli illiberali». Il dossier di Vodafone dimostra proprio questo: forse i nostri magistrati hanno l'intercettazione troppo facile, ma almeno qui gli spioni devono chiedere il permesso. Qatar, Romania e Sudafrica sono fuori dal rapporto Vodafone ma non perché amanti della privacy: da loro è vietato perfino dire ai cittadini quanto sono intercettati.


L'altro nodo del datagate in fondo non è quanto la tecnologia permetta di spiarci, ma quanto ci spinga a condividere spontaneamente con la vasta platea di internet i nostri affari privati. Per poi invocare la privacy, ovviamente.


e Giuseppe Marino

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