MilanoSarà «schizofrenico» Berlusconi come lha dipinto Umberto Eco («Difende la nostra magistratura quando chiede lestradizione di Battisti, ma la attacca solo perché ha chiesto di convocare lui») ma, quanto a doppia personalità, anche il popolo di Libertà e Giustizia non scherza affatto. Il loro leader in pectore, un Roberto Saviano acclamato al Palasharp come una rockstar, predica con echi veltroniani senza citare mai Berlusconi. E parla di «un grande sogno: costruire un Paese diverso». Tuttavia il sogno che rapisce buona parte dei presenti è di altra natura. I have a dream, si legge su una grande scatola di cartone che una ragazza inalbera tra la folla. E dietro la finestra con le sbarre della galera, provate a indovinare chi cè.
Palazzetto pieno di novemila persone, qualche altro migliaio allesterno, tutte convenute per ribadire quanto già dichiarato firmando (in centomila) la lettera con richiesta di dimissioni del premier del 18 gennaio scorso. E anche se il gentile invito - «Dimettiti» - è dovunque, persino appiccicato sulla fronte di un attempato signore occhiali e giacca a vento, lobiettivo è vederlo ingabbiato. Stop.
Seduto in prima fila cè il «partito di Repubblica» a cominciare da Carlo De Benedetti. Poi Dario Franceschini, Carla e Bice Biagi, Milva, Giuliano Pisapia, Moni Ovadia. Tra poco parleranno Sandra Bonsanti, Gustavo Zagrebelsky, Roberto Saviano, Susanna Camusso con sciarpa bianca. Lo storico Paul Ginsborg, autore dellaltisonante Salviamo lItalia, si collegherà via telefono. Umberto Eco aggiungerà un ulteriore pizzico di retorica dicendo che «siamo qui per difendere lonore dellItalia». Poi unintervista a Scalfaro sullindipendenza della magistratura nella quale Sandra Bonsanti e lex capo dello Stato si danno confidenzialmente del tu.
Manca mezzora allinizio della kermesse e la platea è già in sollucchero. Giovanotti e signore di mezzetà si fregano le mani. Parte un applauso: cè Concita De Gregorio, brava, brava... Si torna a leggere (più lUnità e Repubblica che Il Fatto quotidiano) e a smanettare sulliPhone. Un altro applauso, più timido, là in fondo. Si battono le mani, e intanto si chiede «ma chi è». Gad Lerner? Pollini? La Biagi? Boh.
Nei dialoghi autoconfermativi la parola più ripetuta è «stavolta». Stavolta è fregato. Stavolta cade. Stavolta non ce la fa. Stavolta non si salva. Qualcuno prova a volare più alto, tormentato. «La divisione tra i sindacati è drammatica... E poi... lInghilterra parla solo con lAmerica, Francia e Germania parlano tra loro... E noi siamo abbandonati a noi stessi». Ma poi si ripiomba nel piatto antiberlusconismo: le leggi ad personam, i processi di Mediaset, Ciancimino, la mafia, Spatuzza e le stragi del 93. Un signore issa un cartello della toponomastica stradale, «Via Berlusconi - Ladro di civiltà» è lintestazione. Un altro manifesto recita: «I vecchi bavosi ci rendon nervosi. Di Silvio ed Emilio vogliamo lesilio».
«Portate pazienza ancora qualche minuto. Sta per iniziare la nostra bella giornata...», pronostica alla Checco Zalone una delle organizzatrici. Si vedono più giacconi di pelle con sciarpa che giacche a vento. Cè la borghesia milanese, il famoso ceto medio riflessivo, galvanizzato dalla Bonsanti, presidente di Libertà e Giustizia: «Noi non siamo lItalia migliore, siamo come gli altri. Solo che siamo lItalia informata. E dobbiamo spiegare a chi non lo è come stanno le cose».
Arriva Saviano. Parla del voto di scambio che mina la democrazia, primarie comprese. Suona il solito tasto della «macchina del fango». Poi tenta timidamente la strada dellautocritica. Cita Piero Gobetti, don Milani, Camus. Parla della necessità di un progetto che si è visto poco. «Troppo spesso - dice - i valori che ci fanno stare insieme sono coperti dal prevalere dellessere contro, dellessere anti. Siamo stati bravi a comunicare ciò che non siamo e ciò che non vogliamo. Ma ora è giunto il momento di dire ciò che siamo e ciò che vogliamo». Scroscia lapplauso per lautore di Gomorra.
Invece parla Umberto Eco e il bersaglio torna il solito Cav («Con Mubarak oltre alla nipote ha in comune anche il vizietto di non dimettersi»). La grande scatola in formato gabbia è sempre lì...
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