Roma - Grillo non è interessato, il Pd neppure, Nichi Vendola non ne ha bisogno, persino Antonio Ingroia e Luigi de Magistris (lanciato in politica da lui), gli impongono condizioni («con noi se fai un passo indietro»), mentre la sua Idv perde pezzi e quasi si squaglia. Non c'è dubbio, questo 2012 andrà rubricato come l'annus horribilis di Antonio Di Pietro. I sondaggi lo danno sotto il 2%, un disastro.
Come da copione quando i leader sono in disgrazia, gli ex yes men scoprono all'improvviso la parola «no», e se ne vanno in cerca di più fortunati lidi. Così è successo a Di Pietro che alla Camera è da tempo sotto il numero minimo legale per avere un suo gruppo parlamentare. Ha iniziato che aveva una trentina di deputati, alla fine ne aveva 17, quasi la metà, il partito con più fuggitivi del Parlamento. La prospettiva di non essere più in grado di far rieleggere qualcuno, nemmeno se stesso, non aiuta a far proseliti.
Dalla foto di Vasto (Bersani, Vendola e Di Pietro) scambiata per il viatico di un nuovo centrosinistra, sembra passato un secolo, non un anno. Dopo aver vissuto sulle disgrazie del Pd, raccogliendone i frutti, il giochetto si è rivoltato contro di lui e ora si trova fuori dall'orbita del Pd, con le vie d'uscita sbarrate, da una parte e dall'altra. Per Grillo che viaggia da solo col suo M5S su medie da secondo o terzo partito, imbarcare Di Pietro sarebbe inutile e anzi dannoso. Al massimo lo candiderebbe al Quirinale, come beau geste, sapendo che resterebbe tale. L'unico spiraglio, per Di Pietro, sono gli arancioni di Ingroia, una lista civica che lo accetterà solo se rinuncia al simbolo Idv e al posto da capolista, riservato al magistrato palermitano, che in questo caso tratta da forte contro debole.
Di Pietro però ha ancora armi a sua disposizione. Primo, un piccolo patrimonio di voti, quelli rimasti. Secondo, i soldi, che la sua Idv ha messo da parte negli anni d'oro del finanziamento pubblico. Un fondo di diversi milioni di euro che si rivela utilissimo, ora, per lanciare una nuova formazione priva di risorse. E Di Pietro ha già iniziato a «sponsorizzare» Ingroia. Confida un braccio destro di Tonino che la manifestazione arancione del 12 dicembre al teatro Eliseo di Roma è stata pagata (3mila euro) con le casse dell'Idv. E anche la convention di venerdì al teatro Capranica è stata coperta dal generoso pretendente al posto (nella lista civica), Antonio Di Pietro. Nella stessa condizione di Di Pietro, costretto a far la corte a Ingroia se non vuole farsi cinque anni fuori dal Parlamento, ci sono altri partitini come i Verdi, Rifondazione comunista e Federazione della sinistra.
Via i simboli, e a rischio sopravvivenza è un sacrificio relativo, ma poi quanti ne accetteranno, di politici di professione, Ingroia e De Magistris? Il rumor, raccolto dal dipietrista Francesco Barbato, parla di due posti in lista a partito. «Siamo al manuale Cencelli, alla lottizzazione delle liste come nella prima Repubblica - si arrabbia Barbato -. Ma chi è Ingroia per dare le patenti agli altri? Che ne sa lui di politica? E perché De Magistris non si occupa piuttosto di Napoli, visto che fa il sindaco?».
Il problema riguarda soprattutto la nomenclatura dell'Idv, unico partito in Parlamento di quelli che confluiranno nella lista degli Arancioni. I fedeli rimasti con Di Pietro si dannano per essere ricandidati, ma non c'è posto per tutti, e molte candidature sono irricevibili se Ingroia vuole pulizia e società civile.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.