Lanvin scopre gli occhi a mandorla: «Il futuro è la Cina»

Lanvin scopre gli occhi a mandorla: «Il futuro è la Cina»

Parigi«Ormai i conti si fanno con la Cina» dicono i francesi uscendo dalla Halle Freyssinet, il mastodontico spazio industriale parigino in cui l’altra sera si è svolta la sfilata-evento di Lanvin con una festa felliniana per celebrare il decennale della direzione atistica di Alber Elbaz. Comprato nel 2000 da Shaw-Lan Wang, miliardaria di Taiwan che controlla il più grande gruppo editoriale cinese (si chiama United Daily News Group e pubblica 320 testate oltre a curare l’informazione digitale per tutto il sud est asiatico), Lanvin ha registrato nel 2011 un incremento di fatturato del 24 per cento. Come se questo non bastasse, Elbaz è puntualmente inserito nella classifica dei 10 designer più influenti del mondo, il più amato dalle donne intelligenti che si vestono bene per vivere meglio, ma anche dalle poverette senza molto cervello che vivono per i vestiti. Non stupisce quindi che Madame Wang abbia speso senza batter ciglio una bella cifra per festeggiare 10 anni di successi pazzeschi ottenuti grazie all’irresistibile stilista di origine israeliana. Tondo e dolce come un babà lui ha voluto che i 1500 invitati fossero sazi di leccornie (c’erano perfino dei meravigliosi lecca-lecca di foie gras con sopra una pallina di cioccolata) prima di assistere al defilè. Poi ha intonato Que serà serà dal vivo con l’orchestra e si è concesso il lusso di definire «Piccolo e grasso come me» il libro di 700 pagine con 3000 foto pubblicato per l’occasione. Insomma una festa vera soprattutto per chi ama la moda perché la collezione Lanvin era un capolavoro di semplicità e decorazione. I vestiti erano infatti tagliati da Dio e cuciti ancor meglio, con le inconfondibili ruches dritte che decoravano la schiena, la mezza baschina sul fianco portabile anche da chi non ha l’invidiabile taglia-modella, le gigantesche pietre applicate sui semplicissimi tailleur in maglia grigia e i brillantini perfino sulla suola delle scarpe. Se questi sono i risultati è inevitabile dire benvenuti i cinesi nel fashion system soprattutto se hanno il buon senso di produrre in Europa. Lo spiega molto bene Alberto Biani che fa una moda con la m maiuscola e se la prende con i nostri sindacati che non proteggono a sufficienza gli imprenditori del made in Italy, ma chiudono un occhio e a volte tutti e due davanti all’invasione dei manufatti a poco prezzo. «Un capo fatto in Cina costa mediamente 3 o 4 euro, io non ci pago neanche le etichette» dice davanti ai suoi magnifici tailleur fatti in Italia con tessuti giapponesi che fanno il verso ai grandi classici della tradizione tessile anglosassone. Certo ci vuole una bella testa per fare cose che nell’armadio durano una vita: cappotti dal taglio maschile, pantaloni con la stampa dei vecchi pigiami da uomo, un elegante gilet in poliestere e seta verde scuro e al posto della cintura la vecchia cinghia in elastico per tenere i libri. «In Cina vende benissimo» dicono invece della collezione Cacharel che non ha niente di speciale tranne la nazionalità de tandem creativo: una ragazza che si chiama Ling Liu e il suo compagno Davey Sun. I due designer s’ispirano ad Amelia Earhart, la pioniera dell’aviazione statunitense che ha già ispirato una stupenda collezione di Armani e un film di qualche anno fa. In tuta azzurro Wegwood, calze stampate e cappellino a cloche, la versione cinese dell’eroina sembra troppo quieta per essere vera. Formidabile invece il lavoro di Viktor & Rolf su un’idea di donna che esce da una favola vittoriana per entrare nella pura sensualità con abiti neri neri intagliati e decorati da innumerevoli paillettes effetto pelliccia oppure con vere pellicce scolpite a mano. Anche Marianna Rosati, trentunenne rampolla di una famiglia che in Toscana lavora da una vita la pelle, s’ispira per il marchio DROMe a una fiaba: cappuccetto rosso.

Oltre a far portare dall’Italia perfino le foglie del finto bosco in cui si svolge la presentazione, la ragazza dimostra che il made in Itali può trasformare un semplice montone rovesciato in una sontuosa pelliccia che sembra ma non è il proibitissimo breitshwantz.

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