L'autocritica di Fini "Ecco i miei errori nella sfiducia al Cav"

Il leader Fli confessa in un libro: "Non serviva chiedere a Berlusconi di salire al Quirinale"

L'autocritica di Fini "Ecco i miei errori nella sfiducia al Cav"

Roma L'ostinata selezione dei vicoli ciechi, una azione che spesso sembra avere come unico obiettivo quello di arrecare danno al Pdl, il risentimento personale che cancella la memoria e un retaggio più che ventennale. Nella storia recente di Gianfranco Fini la finestra dell'autocritica resta sempre sistematicamente serrata. Nel libro di Angelo Polimeno, Repubblica, atto terzo (edito da Mursia), compare, però, uno spiraglio, una piccola ammissione di colpa, una riflessione sviluppata più a freddo del solito. Una mini-revisione critica che riguarda un episodio tutt'altro che marginale nel tormentato libro di questa legislatura.

I toni non sono certo quelli di un sonante pentimento. Ma nel rivedere il film di questi anni insieme all'inviato del Tg1, l'attenzione del presidente della Camera si concentra sulla convention di Bastia Umbra del novembre 2010. Un appuntamento durante il quale Fini decide di ritirare la sua delegazione al governo, ovvero il ministro Andrea Ronchi, il viceministro Adolfo Urso e i sottosegretari Roberto Menia e Antonio Buonfiglio (senza, però, far seguire a questa mossa, le proprie dimissioni dallo scranno più alto di Montecitorio). «Forse è lì che ho commesso un errore. Per ufficializzare il riconoscimento di Fli quale terza gamba della maggioranza non serviva chiedere a Berlusconi di andare al Quirinale a dimettersi per poi dar vita a un nuovo governo. Non serviva perché come il voto di fiducia di settembre aveva già certificato che senza Fli la maggioranza non esisteva». Quel passaggio, comunque, porta inevitabilmente al fatidico 14 dicembre - come racconta Polimeno - il giorno delle mozioni di sfiducia al governo sostenute da Fli e dalle forze di opposizione. Quel giorno Fini rischia di diventare il killer del governo votato anche dai suoi elettori ma il blitz non riesce visto che su 627 votanti la maggioranza la spunta anche se solo per 3 voti: 314 contro 311. La guerra di logoramento, però, porterà da lì a pochi mesi i suoi frutti.
Il dialogo di Polimeno con Fini produce altri aneddoti. Quello sulla nomina di Alfano nel luglio 2011, ad esempio. «Con Casini ragionammo a lungo. Lui era più ottimista di me, riteneva che Angelino potesse esercitare davvero quel ruolo importante. Io invece gli dissi: Pier, dammi retta, Alfano sarà il segretario del presidente del partito, è stato scelto perché dà del lei a Berlusconi. Berlusconi non può stare in panchina. Lui vuole fare regista, primo attore e cameraman. Ecco perché non potrei più stare in un partito guidato da lui».

Infine una riflessione sulla famosa Direzione Nazionale di Via della Conciliazione. «Ancora oggi non mi spiego il cataclisma di quel giorno. Più volte sono andato a rileggermi lo stenografico. Non capisco perché Berlusconi reagì in quel modo. Per carità io avrei potuto anche starmene tranquillo senza alzare il dito e senza dirgli “Che fai mi cacci?“. Tra l'altro non ricordo neanche a che proposito dissi quella frase.

Ma le mie erano solo critiche politiche. A quel punto pensavo di assumere un ruolo scomodo, di fare l'opposizione interna. Ancora oggi non riesco a capacitarmi della decisione di dichiararmi di fatto incompatibile con il partito».

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