Roma - «Così in difficoltà non l’avevo mai visto. Se il Pd continua a incartarsi su un tema tanto delicato come il lavoro il governo potrebbe anche rischiare...». Mentre mercoledì sera Pier Luigi Bersani interveniva a Porta a Porta, lo stato maggiore del Pdl era con Silvio Berlusconi a fare il punto sulla riforma del welfare e sulle prossime mosse in vista delle amministrative. E più d’una volta l’imbarazzo del segretario del Pd è stato oggetto dei commenti del Cavaliere, convinto che - pur garantendo la tenuta dell’esecutivo - il Pdl debba massimizzare il momento di difficoltà del Partito democratico. Ecco perché - pur sapendo almeno da giovedì sera che il governo avrebbe scelto la via del disegno di legge e non quella del decreto - il Pdl decide di alzare i toni fino a puntare il dito contro il «poco coraggio di Monti». La partita sulla riforma del mercato del lavoro e sull’articolo 18, infatti, è appena iniziata. E da ieri si è spostata sulla tempistica.
La scelta del disegno di legge, infatti, apre a quelle modifiche chieste dal Pd per evitare di implodere nella morsa di Idv e Sel da una parte e della Cgil dall’altra. Modifiche che certamente ci saranno. Il punto sono i tempi. Bersani, infatti, vorrebbe «congelare» il dibattito - almeno quello sui punti più delicati - fino a dopo il 6 maggio, giorno delle elezioni amministrative. Il ddl verrebbe dunque calendarizzato e incardinato in commissione ma con una tempistica piuttosto rilassata. Questo, almeno, è la strada a cui pensa il Pd e su cui il Terzo Polo sembra fare sponda.
Il Pdl, però, non sembra affatto di questo avviso. Perché, spiega Massimo Corsaro, «quando c’era da massacrare la nostra base elettorale con le liberalizzazioni si è andati avanti a colpi di decreto e senza alcuna remora» e «non si capisce perché oggi si debba avere un atteggiamento diverso nei confronti del Pd». Il timore non è solo quello di «ulteriori cedimenti» quando il Parlamento rimetterà mano al ddl (cosa piuttosto scontata) ma anche che il Pd riesca a uscire dal cul de sac troppo comodamente. Riuscendo perfino a scavallare la campagna elettorale per le amministrative. Ecco perché un po’ tutti a via dell’Umiltà puntano il dito contro la scelta del ddl, «uno strumento - spiega Fabrizio Cicchitto - che provocherà un confronto parlamentare assai serrato e dagli esiti imprevedibili nel caso il Pd mantenga ferma la sua intenzione di voler modificare l’articolo 18». Ecco perché Angelino Alfano fa sapere che in quel caso il Pdl «modificherà altri aspetti del disegno di legge» visto che «ci sono cose che non piacciono anche a noi».
E visto che i tempi parlamentari dipendono molto dalla solerzia dei presidenti di Camera e Senato, Ignazio La Russa non solo definisce «grave» la scelta del disegno di legge ma chiede anche a Berlusconi e Alfano di «convocare al più presto un ufficio di presidenza del partito per valutare le misure da adottare». Di fatto una dichiarazione di guerra, visto che un appuntamento del genere sarebbe l’occasione per alzare i toni soprattutto da parte di chi il governo Monti non l’ha mai davvero digerito. C’è un pezzo di Pdl, infatti, che ancora spera che sulla riforma del lavoro possa andare in tilt il Pd e alla fine, magari, in crisi il governo. Una prospettiva gradita a chi teme che il Cavaliere stia davvero valutando la possibilità di trasformare il Pdl in un contenitore più ampio sotto le insegne del Ppe e che dialoghi con alcuni dei cosiddetti tecnici che siedono oggi in Consiglio dei ministri, una soluzione che rischia di marginalizzare soprattutto l’area degli ex An. È anche per questo che si vuole velocizzare al massimo l’iter del provvedimento, per evitare che il dibattito venga «congelato» e alla fine le modifiche passino in maniera indolore per il Pd.
D’altra parte, spiega un ex ministro, «se qualcosa si dovrà concedere sull’articolo 18 perché con questo testo Monti rischia davvero, deve essere chiaro che il Pdl vanterà un credito». Da spendere a stretto giro sulla Rai e sulla giustizia (sia il fronte corruzione, sia quello intercettazioni). Poi, questo sì dopo il 6 maggio, si aprirà il capitolo riforme.
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