Lavoro, verso voto di fiducia (ma solo dopo le elezioni) Così il governo salva Bersani

Monti "regala" due mesi di campagna elettorale ai democratici, poi si chiude. E la Camusso attacca ancora la Fornero. Il Pdl: cambiamo il welfare o si vota

Lavoro, verso voto di fiducia (ma solo dopo le elezioni) Così il governo salva Bersani

Roma - Per ora si tratta. Ma prima o poi ci sarà lo «stop» anche ai partiti. Con la fiducia. Ecco il disegno del premier che, sul lavoro, al Parlamento concede tempo ma non «all’infinito». Per il resto c’è il merito e il metodo. Se nel merito - forse - il governo cederà qualcosa, nel metodo no. Non se ne parla neppure. Quel «non ci si illuda che forze importanti che abbiamo ascoltato ma esterne al governo, possano in qualche modo intervenire» sulla riforma del mercato del lavoro, è una sberla alla Camusso. Le parti sociali devono stare «al loro posto». È questa la vera rivoluzione copernicana su cui il Professore non intende far passi indietro. Lo dice chiaro e tondo nel suo intervento a villa d’Este. E poco prima lo fa in un faccia a faccia, a microfoni spenti, con la leader della Cgil e il presidente della Camera, Fini. «Il governo ha concluso - gli fa da sponda Fini - ora tocca al Parlamento come si conviene. E alle parti sociali si dà la possibilità... di guardare». E la Camusso, ironica: «Che guardare? Premere». E Monti: «Pensi che il Parlamento sia impermeabile alle parti sociali?». E la Camusso: «No, il Parlamento non può essere impermeabile alla vita sociale del Paese. Le parti sociali sono il fondamento della vita sociale del Paese». Ma il tempo concesso loro è finito. Per sempre. Se qualche modifica ci sarà alla riforma, sarà perché i partiti ci hanno messo le mani, non certo i sindacati, Camusso in testa.
Con la quale, anche ieri, è stato botta e risposta. Il ministro Fornero a Cernobbio difende il suo lavoro con i denti: «Debbo dire che c’è un po’ di rammarico da parte mia che alla fine la riforma non è condivisa pienamente, ma è una buona riforma», esordisce. E la leader Cgil: «Aveva tutte le condizioni per non doversi rammaricare, le trovo un po’ lacrime di coccodrillo». Ma il duello prosegue sull’articolo 18. La Fornero dice: «Non ci sembra di calpestare i diritti, né di creare motivi per gravi tensioni sociali». E la Camusso risponde secca: «È bene per tutti farsi un bagno di realtà e domandarsi, per esempio, come mai ci sono state così tante reazioni nel Paese e come mai ce ne saranno ancora molte nel prossimo periodo». Ancora il ministro di ferro: «È una scommessa sul mercato del lavoro per rendere l’economia maggiormente attrattiva rispetto a disinvestimenti, ad aziende che magari chiudono qui per aprire in Serbia». E sull’articolo 18 «non ha senso abolirlo e c’è una parte che va rafforzata». Camusso: «Non ci pare che ci sia nessun elemento che ci farà tornare indietro. Semmai è evidente che bisogna rafforzare di molto». Botte da orbi, quindi.
Ma Monti va avanti. Sul ring non possono più esserci il governo da una parte e le parti sociali dall’altra, ma il governo e i partiti. E con i partiti è tutta un’altra battaglia. Palazzo Chigi in un certo senso ha ceduto, causa anche qualche divisione interna, sullo strumento da utilizzare per la riforma. Nessun decreto legge, nessuna forzatura, nessun «prendere o lasciare». Così voleva il Colle. Una ciambella di salvataggio per Bersani che, se così fosse stato, avrebbe avuto la rivolta di partito ed elettorato. Con un disegno di legge, invece, il Pd potrà scavallare la campagna elettorale per le amministrative urlando «sereni, compagni, cambieremo tutto». Sì ma dopo? Ovvio che Monti su due fronti non transige: i tempi; e l’impianto della riforma. Sui tempi, pare che abbia avuto rassicurazioni da tutti i partiti di maggioranza: entro l’estate la riforma deve andare in porto. Quindi la minaccia di Di Pietro («l’Idv promette un Vietnam parlamentare») spaventa ma fino a un certo punto. Sull’impianto della riforma, altro paletto montiano è «non stravolgere il testo».

Ci saranno margini per modificare l’articolo 18? Per ora Bersani mostra i muscoli: «Il ddl deve essere modificato» ma è presto per dire come andrà a finire. Certo, il governo ha un’arma in tasca: la fiducia. Una pistola carica che, ovviamente, tirerà fuori soltanto al momento opportuno.

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