I sermoni flop di Pier Luigi: quando parla scappano tutti

Il leader in televisione fa crollare gli ostacoli, al confronto persino il Prof risulta brillante

I sermoni flop di Pier Luigi: quando parla scappano tutti

Roma - Se i punti di share fossero voti Bersani sarebbe piazzato male. Persino peggio del premier Monti, politico che non attira certo folle televisive, ma che a Otto e mezzo l'altro giorno ha raccolto un buon 9,61% di share con 2,8 milioni di telespettatori. Il segretario Pd invece, pur sull'ammiraglia di Mediaset, da solo con quattro giornalisti più il conduttore a fargli le domande, ha arrancato non oltre il 7,59% (2,1 milioni), superando solo Il mio grosso grasso matrimonio greco su La7, ma andando sotto tutte le altre reti nella stessa fascia. Non un granché per il candidato premier del partito dato in vantaggio nei sondaggi. La tonalità grigia della comunicazione di Bersani, stilizzata dalla parodia degli Sgommati su Sky con un Pier Luigi in bianco e nero anche nella vita, non premia in tv, ma forse è un effetto studiato: «Il messaggio che vuol dare Bersani è quello dell'“usato sicuro”, della persona seria e magari un po' noiosa, che però rassicuri l'elettorato rispetto agli altri candidati - spiega Claudio Velardi, consulente e già spin doctor di D'Alema premier -. Sul piano elettorale lo scontro è tra Bersani e Berlusconi, ma su quello televisivo è tra il Cavaliere e Monti, verso cui c'è più curiosità perché è meno usurato, televisivamente, rispetto al leader Pd».
In effetti Bersani è stato il politico più esposto televisivamente tra settembre e dicembre, nei tg e nei talk show, con le primarie del centrosinistra. La sua presenza in tv non cattura più lo spettatore, il messaggio si dà già per sentito, le sorprese si ottengono da altri, cioè proprio da quel «cabaret» che il segretario ha indicato come il modello negativo da rifuggire in questa campagna elettorale. C'è da aggiungere che Bersani in televisione è piuttosto moscio, la sua comunicazione è monocorde, non ha picchi, non si arrabbia, resta ingessato nel ruolo del leader della porta accanto. Di qui il ricorso frequente ad espressioni dialettali emiliane e modi popolari («Oh ragassi siam pazzi? Siam mica qui...», nella versione Bersani-Crozza), per dare del tu all'elettore e incassare la croce sulla scheda.
Anche le battute sono da sagra dello gnocco fritto, innocue, non tagliano ma annoiano. Un candidato premier rassicurante, ma l'effetto tisana è inevitabile. Il modello scelto sembra quello del marito fedele che la sera torna a casa, mette le ciabatte e guarda la tv con la moglie, l'antidivo che si imbarazza ad essere al centro della scena (un puro espediente retorico, Bersani è primadonna come gli altri), l'uomo sobrio e vagamente dimesso rispetto ai «monelli», Berlusconi o prima ancora Renzi, che nella sfida tv con lui sembrava il discolo col preside («e così alla fine ha vinto, anche mediaticamente, proprio Bersani» è convinto Velardi). Persino Monti è più acuminato, con le sue stoccate all'inglese ma dure, mentre Bersani sembra essersi mutato in Prodi, l'unico, in fondo, che con la sua mollezza narcolettica e lo spirito da oratorio (quel parroco evocato da Bersani nel confronto con Renzi...) è riuscito a battere Berlusconi. Il grigiume come arma elettorale.
Anche i manifesti seguono la logica del «votatemi perché vi annoio», come peraltro da tradizione.

La campagna con Bersani in maniche di camicia e la scritta «Oltre» fu massacrata dal popolo Pd per i rimandi cimiteriali dello slogan. Anche i 6x3 che tappezzano in questi giorni le strade, con un Bersani inespressivo sotto «L'Italia giusta», non emozionano granché. E in tv le cose peggiorano. Chissà perché rifugge dal faccia a faccia con Berlusconi.

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