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Lega, Bossi si arrende: il partito passa a Maroni "Non ho avuto scelta"

La svolta al Consiglio federale: Bobo sarà l’unico candidato al congresso di giugno. Il Senatùr "presidente a vita". Lo sfogo coi suoi: lo faccio per tenere unito il partito

Lega, Bossi si arrende: il partito passa a Maroni  "Non ho avuto scelta"

Roma - Bossi presidente federale «a vita» della Lega con qualche piccolo potere, Maroni segretario federale e vero capo, Zaia suo vice vicario (più altri due vice), Calderoli coordinatore delle segreterie nazionali. Ecco la Lega che uscirà dal congresso federale di fine giugno, ormai «telefonato» dopo il consiglio di ieri in via Bellerio. L’accordo è stato trovato, con molti se e molte incognite ancora aperte. Ma Bossi, dopo ripensamenti e crisi personali (piange molto al telefono con i pochi amici rimasti) si è convinto del passo indietro, al punto da firmare un documento dove si stabilisce lo schema di comando della nuova Lega, quella del prossimo segretario federale Roberto Maroni. Ecco il punto, il documento scritto.

L’ex ministro ha spinto perché ci fosse una traccia scritta della «resa» del Capo, conoscendo bene la mutevolezza della mente bossiana e i proverbi latini. L’accordo scritto e firmato dall’ex capo è stato mantenuto segreto perché contiene anche una clausola di garanzia per la famiglia Bossi, colpita dal Belsito-gate e perciò preoccupazione costante di Bossi. I termini della clausola famigliare non si conoscono, ma si conoscono quelli che riguardano il partito e i suoi prossimi vertici. Dunque Bossi, «presidente federale a vita». Cosa vuol dire? Di per sé tutto e niente, ma l’intenzione uscita dal consiglio federale è quella di attribuire a Bossi un potere, limitato ma reale, rispetto alle sanzioni disciplinari e alle espulsioni. Poco, ma qualcosa. Comunque nulla rispetto al potere assoluto che Bossi, dal 1984 ad oggi, ha mantenuto nel partito, ormai sfuggitogli di mano. Per attribuire al presidente federale quelle funzioni si dovrà cambiare lo statuto della Lega Nord, e per questo è già prevista una commissione che andrà avanti fino al congresso.

Il clima del consiglio federale che sancisce di fatto la fine della Lega di Bossi e l’inizio di quella di Maroni, non è stato però drammatico. Tutt’altro, un clima di inattesa armonia, Maroni tranquillo ma non tronfio, e soprattutto Bossi sereno e non depresso, come invece è molto spesso ultimamente. L’ex Capo ha approvato lo schema da «unità ritrovata» esposto al federale da Calderoli. Cioè appunto la candidatura unica di Maroni a nuovo segretario del Carroccio, quindi senza la sua corsa alternativa, come annunciato da Bossi stesso giorni fa.

Vittoria totale di Maroni, in una Lega dove tutti sono già saltati sul Carroccio del vincitore. «Non si trova più un bossiano nemmeno a pagarlo» dicono gli ultimi bobo-scettici. Mentre impazza, anche tra maroniani insospettabili fino a mezz’ora prima, la moda Facebook del «Io la vedo come Maroni»: foto con gli occhiali rossi che usa l’ex ministro, nuovo imperatore padano. Che avrà tre vicesegretari, di cui uno vicario (per forza veneto poiché Maroni è lombardo, e sarà Zaia), un altro scelto tra i due papabili maroniani per la segreteria nazionale della Lega lombarda (che si vota i primi di giugno), cioè Salvini o Stucchi, e terzo vicesegretario una donna. Il resto della prossima Lega dovrebbe essere composto da Tosi, candidato difficile da battere alla segreteria del Veneto (ma ci sono le corse kamikaze del trevigiano Gianantonio Da Re e probabilmente anche del sindaco Bitonci), il Piemonte con Cota (se non solleveranno l’incompatibilità tra ruolo di governatore e segreteria della Lega piemont) e poi Calderoli, come coordinatore, se si accontenterà.

Clima di concordia almeno in superficie, accordo fatto. Però. «Non avevo scelta» ha però confidato Bossi ai pochi «suoi» rimasti. Nei giorni scorsi gli hanno consigliato, per il suo bene innanzitutto, di lasciar perdere la segreteria federale, e Bossi alla fine si è convinto. «Lo faccio per il bene della Lega», lasciar passare il delfino Maroni, unico candidato possibile in questo momento, anche se si vocifera di candidature alternative che covano e si alimentano nel malumore che il metodo Bobo (conquista totale, niente prigionieri) sta provocando sottotraccia. «E dicevano di Bossi che era un dittatore!» mugugnano certi bossiani irriducibili, che si sforzano di vedere anche in certe quisquilie formali, come i mille problemi sollevati ieri ai «regolamenti applicativi del congresso federale», un germoglio di protesta al nuovo pensiero unico maroniano.
Su tutto aleggia l’ombra degli avvisi di garanzia, si dice una decina, che ad ore devono piombare sui vertici della Lega. Ad iniziare da Bossi, compresa moglie e Trota, più colonnelli vari e amministratori di partito. Escluso Maroni, al momento uomo fortissimo della Lega.

Anche troppo.

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