MilanoOrmai giornalisticamente e con un po' di esterofilia la Lombardia viene definita l'Ohio d'Italia, ovvero così come succede per lo stato americano nell'elezione del presidente, la regione cruciale per decidere il destino elettorale (e non solo) del Paese. E allora a guardare i numeri dei sondaggi che vedono il centrodestra in grande recupero e addirittura avanti proprio in Lombardia con la maggioranza al Senato sempre più in bilico, non è un'esagerazione dire che questa diventa la madre di tutte le battaglie. A maggior ragione se è vero che queste prossime elezioni saranno lo snodo decisivo per imboccare l'annunciato passaggio dalla seconda alla terza Repubblica e soprattutto per una Lega che ha deciso di giocarsi proprio al Nord e non più a Roma il suo futuro politico.
Ecco perché la mossa decisiva è stata proprio quell'alleanza stretta tra Silvio Berlusconi e Roberto Maroni per ricompattare il campo dei moderati di fronte all'avanzata di una sinistra che vorrebbe fare dell'ex premier Mario Monti solo una comoda stampella. Un patto, quello tra Lega e Pdl, che poteva sembrare indigesto e che invece anche i militanti leghisti più duri e puri stanno già metabolizzando, tanto che Maroni guadagna in Lombardia e sembra poter battere le sinistre. Per questo adesso qualcuno tenta di agitare la questione del candidato premier per seminar zizzania. E nel Carroccio qualcuno ci casca. Perché il segretario federale continua a indicare vie convergenti, ma qualche colonnello locale agita gli appetiti della base. Proprio ieri mattina a Canale 5 Maroni, che è candidato governatore per l'intero centrodestra, diceva di aver siglato l'accordo col Pdl «per vincere in Lombardia e realizzare il nostro grande sogno di una macroregione». E per questo ha sostenuto che «ci sono stati mal di pancia» nella Lega, ma che «sono stati ampiamente superati». Citando sondaggi che lo danno «nettamente avanti rispetto ad Ambrosoli e agli altri avversari: i leghisti hanno capito e accettato». E a chi lo stuzzica sul nome del candidato premier che per Berlusconi potrebbe essere Angelino Alfano, mentre per lui dovrebbe essere Giulio Tremonti, Maroni replica che si tratta di «un dettaglio non così significativo come qualcuno vuole fare credere».
Ma a non pensarla così è il sindaco di Verona Flavio Tosi. Non uno qualunque, ma un candidato alla segreteria federale se Maroni dovesse diventare governatore. Con i veneti che prenderebbero la guida del Carroccio. «Passate le elezioni ognuno va per la sua strada. È un anno che siamo già fortemente divisi. E non su questioni di forma, ma di sostanza», ha detto ieri Tosi intervistato dalla Stampa. «Salvo l'ipotesi, francamente improbabile, che si vinca, non vedo perché la Lega debba continuare a camminare con chi - aggiunge, - in quasi dieci anni di percorso comune, non ci ha portati da nessuna parte. Se guardiamo alle riforme, chiediamoci che cosa abbiamo portato a casa». Un attacco frontale del leone di san Marco ai lombardi, considerati troppo vicini a Berlusconi. Anche se lo stesso Tosi sottolinea che «ora, parlando con la gente, stiamo cominciando a far capire che l'importante era che la Lega ottenesse le tre regioni del Nord». Ma immediate arrivano le parole ben più felpate del governatore del Veneto Luca Zaia.
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