Lega, una poltrona per cinque Salvini corre, Tosi resta ai box

E alla fine sono rimasti in cinque a giocarsi la guida del Carroccio. Almeno per il momento, perché in quell'infernale meccanismo ideato da una Lega che ha scoperto la democrazia interna atterrando nel pericoloso mondo delle primarie, quelle presentate ieri sono solo le precandidature. Ora i temerari dovranno raccogliere tra il 15 e il 28 novembre tra le mille e le 1.500 firme di appoggio tra i tesserati e poi sottoporsi al voto dei militanti (con un anno di anzianità) il 7 dicembre. Spoglio immediato e proclamazione del nuovo segretario che succederà a Roberto Maroni il 15 dicembre al Lingotto di Torino.
Per ora la notizia (scontata) è che c'è l'attuale vice segretario federale Matteo Salvini. L'altra (meno scontata) è che non c'è il segretario veneto e sindaco di Verona Flavio Tosi, possibile antagonista forte di Salvini. Resta in campo (almeno per ora) l'Umberto Bossi, il «Capo» che non vuole cedere il passo in una Lega balcanizzata. Ma sono in molti a prevedere un suo passo indietro prima di essere costretto alla conta nel ventre molle della sua creatura. A completare la cinquina un imprevisto Giacomo Stucchi a cui la presidenza del Copasir ha risvegliato appetiti, il consigliere regionale dell'Emilia Romagna ed ex candidato sindaco di Bologna Manes Bernardini e quello comunale di Vizzola Ticino (Varese) Roberto Stefanazzi. Uno che nel profilo Facebook aperto a suo nome «per la segreteria federale» ha raccolto miseri 311 «mi piace», pochi per passare al secondo turno della kermesse leghista. Per la verità alle 12 di ieri in corsa c'erano altri due nomi: quello di Fernando Flora, non troppo conosciuto segretario di una sezione milanese e il ben più noto e «televisivo» segretario romagnolo Gianluca Pini. Entrambi tagliati dalla segreteria organizzativa per «difetti di forma». Non pervenuto l'indipendentista veneto Erminio «Obelix» Boso. Per quanto riguarda Tosi, oltre al faccia a faccia di ieri con Maroni e Salvini, un ruolo nella rinuncia potrebbero aver avuto le tre inchieste scattate puntuali appena ha sollevato la testa: quella sulla parentopoli nelle municipalizzate, quella sull'Agec, l'agenzia delle proprietà immobiliari del Comune con l'arresto di otto dirigenti e l'indagine sul vicesindaco Vito Giacino per la ristrutturazione di una appartamento, appalti e consulenze alla moglie.
Ma la sfrondatura non sembra finita. «Abbiamo un lasso di tempo per cercare ancora di più una candidatura unitaria o largamente prevalente», ha detto ieri il responsabile organizzativo Roberto Calderoli. Era corsa voce che i colonnelli avessero chiesto a Bossi di ritirarsi. «Assolutamente no - dice Calderoli - Nessuno può fare richieste di ritiro della candidatura». Per quanto riguarda quella di Tosi, lo stesso Calderoli assicura che «non l'ha mai presentata, i suoi obiettivi sono diversi e lo ha dimostrato con la convention di Mantova candidandosi a guidare il centrodestra».
E a confermare quale sia il vero nodo politico, le parole di Salvini. «Come affronterò il confronto con Bossi? Con massimo rispetto e gratitudine infinita. E la consapevolezza che lui può dire e dare ancora tanto». Poi la stilettata.

«Ma anche con la consapevolezza, come mi ha insegnato proprio Bossi, che la vita va avanti e bisogna avere il coraggio di andare oltre». La conferma della linea indicata dall'attuale dominus, quel Maroni che ha più volte ripetuto che alla guida della Lega serve «un giovane leone». Lontani i tempi delle Trote.

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