La legge cretina che regola nonni e bamboccioni

La politica è riuscita nell’impresa di delegare alla magistratura ogni ambito della nostra vita

Alleluia! Abbiamo da oggi un nuovo diritto di fami­glia. Proprio nuovo non è. Diciamo che le parti peggiori sono rimaste. E alcune sbagliate ce le siamo inventate di insana pianta e le abbiamo introdotte piazzandole accanto a quelle dannose. Poi dicono che non sia­mo capaci di fare le riforme. Non è vero. Il guaio è che quando cambiamo qualche norma ob­soleta spesso la sostituiamo con una deteriore. Quando il riformi­smo invece di guardare alla real­tà insegue le mode o il politica­mente corretto provoca disastri.
In altre parole, spesso il lavoro dei riformatori a ogni costo è co­me la famosa toppa: più brutta del buco che si intende coprire.
Il testo appena entrato
in vigore contiene qualcosa di buono. Per esempio la parifi­cazione dei bambini legittimi e quelli fino a ieri giudicati illegitti­mi. Un figlio nato fuori dal matri­mon­io infatti non può essere pe­nalizzato: anche lui merita lo stesso trattamento riservato - in fatto di eredità- a quelli conside­rati «regolari». Su questo non si discute.

Diciamo piuttosto che l’inter­vent­o del legislatore rimedia tar­divamente a un’ingiustizia. E ci domandiamo perché mai si sia aspettato tanto a varare un prov­vedimento similmente equitati­vo. Su altre primizie, con le quali dovremo fare i conti, non possia­mo nascondere di nutrire gran­di perplessità. Disciplinare il ruolo dei nonni nell’ambito fa­miliare, per esempio, ci sembra una forzatura che rasenta il ridi­colo. D’ora in poi essi hanno il di­ritto- affermato nero su bianco­di frequentare i nipoti, di stabili­re i giorni in cui li possono visita­re e accudirli. Un po’ come suc­cede ai genitori separati, per i quali decide il giudice se, quan­do e per quanto hanno facoltà di tenere con loro la prole. Un ec­cesso di burocratizzazione in questo campo minaccia di com­plicare la vita della famiglia e di alimentare risentimenti anzi­ché semplificare i rapporti tra i componenti della famiglia stes­sa.
Non ci vuole molto a compren­derlo. Anche perché, da che mondo è mondo, o in casa regna
la concordia (almeno un mini­mo di ragionevolezza), cosic­ché tra parenti stretti non è diffi­cile un’intesa decente, tale da consentire ai nonni di fare il loro «mestiere»senza limitazioni co­dificate, oppure non c’è verso: i litigi hanno sempre il sopravven­to sull’amore, che non tollera vincoli, orari prefissati, scaden­ze e pianificazioni. Insomma, non ci siamo. Se desidero acca­rezzare la testolina bionda di una mia nipotina, telefono a suo padre o a sua madre e chiedo il permesso di farlo. Se non mi vie­ne concesso, significa che la fa­miglia è «guasta» e toccherà a me cercare di «aggiustarla» con l’unico strumento idoneo: l’af­fetto e la disponibilità ad ascolta­re, persuadere e consigliare.
È assurdo delegare al magi­strato il compito di appianare eventuali divergenze che impe­discano normali relazioni do­mestiche. Fra l’altro continuia­mo a dire che le toghe hanno in­vaso qualsiasi territorio sociale, perfino quello della politica, ma è la medesima politica che affi­da a esse l’incarico di vigilare ad­dirittura sulle vicende private tra nonni e nipoti. Inammissibi­le.

Un’ultima osservazione - ma non la meno importante- riguar­da il legame tra padri ( madri) e fi­gli. Un legame che raramente si scioglie. Si sa: un genitore man­tiene dieci figli, ma dieci figli non riescono a mantenere un ge­nitore. E allora perché il (nuovo) codice mi costringe per legge a tenermi in casa - soccorrendolo in ogni sua necessità - un ragaz­zo (o una ragazza) anche dopo che questo ha superato la mag­giore età? È paradossale. Va da sé che se un figlio, compiuti i 18 anni, non ha ancora concluso il suo percorso di studi, sarà mo­mentaneamente servito di tutto punto da mamma e papà. Acca­de in ogni famiglia, non occorre che ciò sia un obbligo di legge. Tant’è che un universitario - 99 volte su 100- si laurea a spese dei genitori. Raramente si impegna in lavoretti complementari- co­me viceversa avveniva in passa­to- allo scopo di non pesare trop­po sul bilancio familiare. Ma che sia il legislatore - anziché l’amore - a infliggere l’onere di badare a un bamboccione fin­ché non è in grado di autososte­nersi, è aberrante.

In teoria se il «bambino» a 37 anni non è ancora riuscito a pro­curarsi un impiego, spetta a me finanziarlo, mentre lui bighello­na in attesa di un’improbabile occupazione che non gli faccia schifo? Quali armi ho per convin­cerlo che d­eve imparare un me­stiere e togliersi dai piedi, poiché non è lecito che un adulto campi da parassita? Questa legge grida vendetta. Ma neanche i rivolu­zionari pentastellati se ne sono accorti. Già, sono troppo presi dall’esigenza di insultare chi la pensa diversamente da loro.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica