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Letta ancora nel pantano: scoppia il caos sottosegretari

Sono sei gli esponenti di governo fedeli a Berlusconi che ancora non lasciano Il premier: "Traggano loro le conseguenze". E Renzi archivia le larghe intese

Il presidente del Consiglio, Enrico Letta
Il presidente del Consiglio, Enrico Letta

Roma - Matteo Renzi ha già archiviato pubblicamente le «larghe intese». La squadra di governo è stata radicalmente scompaginata, spiega il sindaco di Firenze, quindi l'esecutivo ora deve cambiare passo. L'assestamento della rotta di Palazzo Chigi è un'esigenza che avvertono tutti, con modalità diverse e con scopi differenti. «Penso che la sinistra e il governo non abbiano più alibi - tuona ad esempio Gianni Cuperlo - non tanto perché Berlusconi non fa più parte della maggioranza ma perché c'è un Paese che ha bisogno di uscire dalla crisi». Parole che si spiegano con il rush finale della campagna elettorale per le primarie di domenica 8 dicembre.
Intanto il vicepremier Angelino Alfano spiega che l'agenda di Palazzo Chigi prevede come mossa successiva all'approvazione definitiva della legge di Stabilità l'istituzione di un «patto di programma per il 2014» tra le forze politiche che lo sostengono e ricorda: «Noi del Ncd abbiamo i numeri per far vivere questo governo ma anche per farlo morire». Una scadenza la fornisce Dario Franceschini, ministro per i rapporti con il Parlamento. È «importantissimo», spiega, che nell'anno che entra venga cambiata la legge elettorale, passando a un sistema monocamerale. Poi, aggiunge il ministro, archiviato il semestre di presidenza europea, si può pensare al voto nel 2015. Il «finish» minacciato da Matteo Renzi a proposito del governo non preoccupa, quindi, Franceschini: «È assolutamente naturale - dice ai microfoni del Tg3 - che in un governo sostenuto da forze politiche diverse ciascuno tiri la coperta dalla propria parte».
Intanto Gaetano Quagliariello, ieri a colloquio con il presidente Napolitano insieme con lo stesso Franceschini per parlare di riforme istituzionali, ha spiegato ai giornalisti fuori dal Quirinale che tra le priorità dell'azione di governo rientrano anche la nuova legge elettorale e le riforme costituzionali. Per le quali, il ministro delle Riforme, ha fatto appello agli ex compagni di partito ora riuniti in Forza Italia. «Le riforme devono essere tenute - ha detto - fuori da un atteggiamento negativo o la legittima opposizione al governo diventerebbe un'opposizione di sistema». «Nel momento in cui si registrasse uno stallo in Parlamento sulla legge elettorale - gli fa eco Franceschini - il governo potrebbe valutare l'ipotesi di un intervento. Ma in ogni caso non si tratterebbe di un decreto, bensì di un disegno di legge».
Sulla delicata questione delle dimissioni dei sottosegretari di Forza Italia, ancora presenti nell'esecutivo, il premier Letta si limita a ribadire: «Traggano loro stessi le conseguenze». Il primo ad annunciare l'uscita dal governo è stato Gianfranco Micciché (sottosegretario alla Pubblica amministrazione e semplificazione). Per le 17, quando la delegazione di Forza Italia si è recata al Quirinale, aveva deciso di rinunciare al ruolo governativo la sola Jole Santelli. Quest'ultima, però, con una formula ambigua. Il sottosegretario al Lavoro, infatti, ha dettato alle agenzie un comunicato nel quale spiega che la sua lettera di dimissioni, già firmata, è nelle mani del Cavaliere. Cosimo Ferri, considerato di area FI, ha detto che non lascia l'incarico di sottosegretario alla Giustizia perché tecnico e non politico. Leale all'esecutivo anche Rocco Girlanda. Il sottosegretario ai Trasporti ha annunciato di essersi dimesso dall'incarico di coordinatore regionale in Umbria di FI.

Non hanno sciolto la riserva, invece, Walter Ferrazza, sottosegretario agli Affari regionali, e Bruno Archi, viceministro agli Esteri.

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