Le dimissioni di Enrico Letta non sono una sorpresa per nessuno a Palazzo Chigi. I collaboratori più stretti avevano iniziato a fare gli scatoloni un attimo dopo la fine della conferenza stampa del premier dell'altro ieri. Erano inevitabili: e lo sapevano tutti. E anche la speranza che «potesse succedere qualcosa» che invertisse la tendenza era scivolata sempre più in basso con il passare delle ore.
La «sfida» di presentare «Impegno Italia» alla vigilia della direzione era null'altro che un tentativo (non riuscito) di spaccare il Pd; e l'atto un po' romantico di un uomo che ha sperato fino all'ultimo un ravvedimento del suo partito. Ravvedimento che non c'è stato: solo 16 i voti contrari a Renzi.
Che fosse questa l'atmosfera lo si capiva dalla circostanza che, proprio al termine della conferenza stampa, la presidenza del Consiglio diffondeva una nota che annunciava per oggi un Consiglio dei ministri, ma senza ordine del giorno. Formula per dire che la riunione sarebbe stata monopolizzata dalle «comunicazioni del presidente» (sensazione corroborata dalla decisione della presidenza di annullare la visita a Londra il 24 febbraio).
E le comunicazioni che Enrico Letta oggi offrirà al Consiglio dei ministri saranno quelle che ha poi formalizzato in una nota. «A seguito delle decisioni assunte dalla direzione nazionale del Partito democratico - scrive il premier - ho informato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, della mia volontà di recarmi domani al Quirinale per rassegnare le dimissioni da presidente del Consiglio dei ministri».
Dopo le «comunicazioni» del presidente, il Consiglio dei ministri dovrebbe affrontare una discussione sul caso dei fucilieri di Marina trattenuti in India. Lunedì saranno due anni dall'evento. Da quando lo Stato maggiore della Marina diffuse un comunicato per dare conto di un incidente nell'Oceano indiano. Comunicato che si chiudeva con la formula: «L'imbarcazione sospetta si è allontanata senza danni evidenti a bordo». E affrontare il loro caso durante un Consiglio dei ministri di un governo dimissionario la dice lunga sull'attenzione che i membri dell'esecutivo potranno dedicare all'argomento. Nemmeno la minaccia, rimasta a mezz'aria fino all'ora di pranzo di ieri, di farsi sfiduciare dalle Camere è servita a far cambiare idea al suo partito. I capigruppo, Zanda e Speranza, hanno spiegato a Letta che erano preferibili le dimissioni piuttosto di uno scontro nelle aule parlamentari. E anche Napolitano era della stessa idea.
Alle 8 Letta ha salutato i suoi collaboratori, anche con un brindisi per sottolineare il buon lavoro fatto, ed è tornato a casa. Ai suoi, dicono fonti vicine a Palazzo Chigi, avrebbe ribadito l'amarezza per come si è chiusa la sua esperienza («Non si tratta di un giorno in più o in meno, anche oggi si è capito che Matteo Renzi ha sempre voluto prendere il mio posto», avrebbe detto). Al leader Pd rimprovera insomma - sempre secondo fonti parlamentari - «l'ossessione del potere» e «il cinismo di aver da sempre mirato alla poltrona di premier». Ma ciò che avrebbe irritato maggiormente Letta sarebbe il riferimento alla «palude»: «Io sono stato nella palude - è la risposta indiretta a Renzi - per colpa del Pd. Ma secondo il premier uscente un esecutivo Renzi, qualora riuscisse a nascere, potrà durare poco, («Sei mesi») per colpa dei desiderata di Berlusconi che «potrebbe in ogni momento staccare la spina» accordandosi con Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini e tornare al voto.
A quel punto, il premier ha riflettuto su cos'è la sindrome della «solitudine del capo». Ed è stato lui a rincuorare le collaboratrici di Palazzo Chigi con gli occhi gonfi dall'emozione. Immaginando - a ragione - che scene del genere erano in corso in tutti i ministeri.
Qualche uomo dello staff ha provato a sdrammatizzare e a ricordare che le dimissioni di Letta coincidono con il giorno di San Valentino. Ma nessuno ha pensato alla festa degli innamorati, piuttosto alla strage di San Valentino nell'America del proibizionismo, e all'accordo di San Valentino sulla scala mobile. E ora la data coinciderà anche con le dimissioni del governo Letta.
Gli stessi collaboratori descrivono Enrico Letta «sereno. A posto con la coscienza». E a riprova citano il comunicato di Palazzo Chigi che smentisce attriti fra il premier e Dario Franceschini.
«Fantasie», dicono. Così come sono fantasie le ipotesi che Renzi abbia offerto il ministero dell'Economia proprio a Enrico: l'ipotesi, però, era stata messa in giro proprio dai lettiani. Sgambetti fra ex diccì. Non saranno gli ultimi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.