Un mercoledì da leoni, questo è il sogno proibito di Enrico Letta che ha deciso di affrontare subito, alle nove e mezzo del mattino, l'onda più alta. Ma il Senato non è Gaviota beach, il governo rischia di andare sott'acqua. Non ci sono i numeri, non ci sono scissioni in vista. Malumori e dissidenze nel Pdl non sembrano infatti sufficienti nemmeno per le «piccole intese». Così il premier ha preparato un piano alternativo: se il dibattito confermerà la spaccatura, rinuncerà al voto di fiducia e in serata salirà sul Colle per dimettersi.
Il film della crisi ha un finale già scritto. O almeno sembra. Prima Palazzo Madama, poi Montecitorio, interventi contingentati, alle 22 tutto finito. Però, hai visto mai, mancano un giorno e due notti, un tempo lunghissimo per la politica italiana, Così Letta, rincuorato da «un'affettuosa telefonata» di Angela Merkel che chiede «stabilità», se la giocherà. Pronuncerà un discorso «forte». Cercherà di mettere nell'angolo il Cavaliere, di legare la paralisi alla situazione giudiziaria di Berlusconi. Parlerà per quaranta minuti, poi la parola passerà ai partiti. E a fine mattinata si capirà che aria tira. «Dopo l'informativa per presidente del Consiglio il voto non è scontato», dice nel pomeriggio Enrico Franceschini.
Ma nemmeno escluso, come spiega più tardi lo stesso ministro per i Rapporti con il Parlamento: «La fiducia si pone su eventuali risoluzioni che presenteranno i gruppi dopo le comunicazioni del premier». Dunque, lo scenario è aperto. Letta è disposto a restare a Palazzo Chigi solo se appoggiato da una maggioranza robusta: non basta passare la fiducia a stento, magari con il soccorso dei senatori a vita. «Non farò il travicello», ha detto domenica in tv, e del resto neanche il Pd appare disponibile a sostenere un esecutivo fragile, sbilanciato ed esposto ai prevedibili attacco del centrodestra sul fisco e le misure economiche. E neppure Giorgio Napolitano vuole un governicchio: l'ultimo gabinetto di Romano Prodi appeso a un voto è un'esperienza da non ripetere.
D'altro canto il presidente del Consiglio ha paura di finire nella ragnatela del Cav, che potrebbe far votare una fiducia «a tempo», per poi riprendere a cannoneggiare Palazzo Chigi dopo che sarà scattata la decadenza dal Senato. Tanto per essere chiari, il Pdl ha già detto che farà passare la legge di stabilità e il blocco dell'Imu e dell'Iva purché la manovra non sia fatta di sole tasse. La replica del governo è affidata ancora a Franceschini: «Proposta irricevibile».
Letta resta quindi appeso a un filo. Le diplomazia sono al lavoro, però un Enrico II, allo stato degli fatti, sembra possibile solo nel caso di una vera e nutrita diaspora dal centrodestra. Ma non ci sono le condizioni: Berlusconi, se non l'ha chiusa del tutto, ha tamponato la falla. Se non riuscirà a riaprire i giochi in extremis, il premier potrà solo scegliere se farsi votare contro e dimettersi prima.
E Napolitano? Per ora resta sullo sfondo. «Quello che il presidente poteva fare l'ha fatto», dicono al Quirinale, adesso tocca a Letta, atteso sul Colle mercoledì sera. Se arriverà con le dimissioni, anche senza essere stato sfiduciato, non verrà rispedito alle Camere.
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