Letta si incolla alla sedia: resterò in sella sino al 2015

Letta si incolla alla sedia: resterò in sella sino al 2015

I numeri in Parlamento sono dalla sua parte, così Enrico Letta mette da parte la modestia. E da La Valletta invita Berlusconi a tenere distinte le sorti del governo da quelle della decadenza del Cavaliere. «Continuo a non vedere - dice domenica a Malta - quali alternative serie per il Paese ci siano intorno al cupio dissolvi: non porta a niente». Nemmeno al Pdl, secondo il presidente del Consiglio. E ribadisce che il suo gabinetto ha un orizzonte temporale di 18 mesi.
A sentire quelli che si ritengono bene informati, però, la durata del governo è destinata a subire un cambio di programma dopo il congresso Pd. E sempre secondo costoro, Letta potrebbe derogare al principio di restare a Palazzo Chigi fino al 2015. Si parla di un suo possibile impegno (vicepresidente?) nella prossima commissione Ue che si formerà dopo le elezioni europee. Soluzioni che rimangono sullo sfondo.
Ma sono i numeri parlamentari, soprattutto quelli del Senato, a conferire serenità al presidente del Consiglio. In caso di spaccatura del Pdl, il premier è convinto che con Angelino Alfano rimarrebbero una ventina di senatori. In tal modo, il governo avrebbe una maggioranza garantita di 163/168 voti, senatori a vita esclusi. Almeno una decina di voti in più, rispetto alla maggioranza del secondo governo Prodi. E di quel governo, Letta era il sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
È talmente sicuro della solidità del governo, che il premier si lascia sfuggire che, «se il Parlamento lo dovesse chiedere», Palazzo Chigi «sarebbe pronto a ragionare» su un intervento sulla legge elettorale. Anche un decreto. «Ma dev'essere il Parlamento a chiederlo, altrimenti sarebbe una forzatura. Il Porcellum - osserva - è comunque il male assoluto».
Ma di fronte alla domanda: «Dura più Allegri sulla panchina del Milan o lei al governo?», il tifoso Enrico Letta risponde: «Allegri dipende totalmente da Berlusconi, io dipendo dal Parlamento, che il 2 ottobre ha già dimostrato di darmi la fiducia. Io spero che Allegri resti al Milan, perché mi piace come allenatore. Ma io mi sento un po' più forte di lui».
E se dopo il congresso del Pd, Matteo Renzi dovesse marcare la differenza tra il «suo» Pd e quello di Guglielmo Epifani, per Enrico Letta scatterebbe l'opzione europea.
Il presidente del Consiglio, poi, ha completamente delegato al Parlamento la riscrittura della legge di Stabilità. Altrettanto ha fatto il ministro dell'Economia. Ma tra Senato e via XX settembre regna l'incomunicabilità. E i passi falsi sono sempre in agguato. Da qui, il sito Dagospia pronostica le probabili dimissioni di Fabrizio Saccomanni, esasperato dai continui attacchi politici. Un'ipotesi che lo staff di Letta vedrebbe favorevolmente. A quel punto, il premier sarebbe costretto ad un rimpasto di governo, stimolato anche dalle prese di posizione di Renzi contro il Guardasigilli, Anna Maria Cancellieri.
Ma questa partita, semmai dovesse giocarsi, sarebbe comunque dopo l'8 dicembre. Vale a dire, dopo il voto di decadenza di Berlusconi da senatore. E dopo quel voto, nel pallottoliere di Letta rimarrebbero comunque una ventina di voti che gli garantirebbero la sopravvivenza.


Dopo Malta, oggi il premier va a Parigi per parlare di lavoro con 24 Capi di Stato e di governo europei. Letta, però, non parteciperà alla conferenza stampa conclusiva. Il cerimoniale prevede che venga tenuta da Merkel, Holland, Schulz (Parlamento Ue), Barroso (Commissione Ue), Van Rompuy (Consiglio europeo).

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