Nessuno ha mai messo in dubbio che Ann Romney sia stata una brava mamma. Di più, quasi perfetta. Una stratega democratica, Hilary Rosen, una volta le ha rinfacciato di non avere mai lavorato e tutti hanno difeso la moglie dello sfidante di Obama, tutti inclusa Michelle. Il figlio Ben (uno dei cinque maschi di casa Romney) ha rinfacciato a Rosen che sua mamma «non li ha mai mandati né al nido, né all'asilo» e che tutti loro non hanno «mai avuto tate o cameriere». Ann Romney ricade nella categoria delle madri intoccabili: mai una babysitter ha messo piede in casa sua. Basta questo per allontanare ogni sospetto sulle doti materne della mancata first lady d'America. Ma per la maggior parte delle altre mamme che lavorano, la tata è l'incarnazione quotidiana del senso di colpa: l'ossessione dell'inadeguatezza, la necessità di ricorrere alle cure di un'altra donna per il proprio figlio, l'ansia che tutto proceda comunque (se non alla perfezione, almeno decentemente), l'incubo che qualcosa vada storto e infine una gelosia inspiegabile, irrazionale, irrefrenabile. La gelosia per chi si prende l'amore del tuo bambino che addirittura - orrore - potrebbe divertirsi di più con lei che con i genitori (è noto che talvolta anche i mariti preferiscano la compagnia delle babysitter a quella delle mogli, ma questo è un problema ulteriore).
Il dubbio atroce che la tata sia una nemica di cui non si possa fare a meno è stato sollevato da Michelle Cove e rilanciato dalla rubrica Motherlode del New York Times. Cove, giornalista e produttrice, nel libro I love Mondays, and other confessions from devoted working moms («Amo i lunedì, e altre confessioni di devote mamme lavoratrici») racconta i segreti e le frustrazioni più diffuse fra le madri che lavorano. La questione della babysitter-conquista-figli è nata a un incontro con i genitori e a porla è stata ovviamente una mamma.
Non è un problema irrilevante: è un dubbio così potenzialmente esplosivo che molte donne non ne ammetterebbero nemmeno l'esistenza. Preferirebbero probabilmente cancellare il nome della babysitter, e portare il figlio una settimana a Disneyland, anche se magari ha gli esami a scuola. Il dato di fatto è che molti bambini e adolescenti trascorrono più tempo senza che con i genitori; che con la babysitter si divertono, giocano, vanno al parco, si ingozzano di dolci, spadroneggiano. Quando arrivano mamme e papà dal lavoro e pretendono di mettere ordine alla loro vita, si ribellano: ma come, fino a ora me la sono spassata e adesso tu torni e pretendi che faccia i compiti e pulisca la stanza e spenga la tv?
Che noia (se a fare da babysitter sono i nonni, il dubbio è una certezza: i figli si divertono sicuramente di più con loro, ma non è detto che questo faccia ingelosire i genitori).
Le mamme che lavorano non hanno altra scelta, anche di salute mentale, che ringraziare le babysitter per la cura dei figli: e se i bambini sono felici, molto meglio. In teoria possono andare al lavoro più tranquille e liberarsi del peso di sentirsi madri pessime e degeneri. In pratica, spesso si sentono solo ancora più inadeguate.
Ancora più impantanate nel solito dilemma: a casa coi rimpianti, o in ufficio coi rimpianti? La babysitter dolce e gentile che fa stare bene i figli a volte è un sospiro di sollievo, a volte è un tacito rimprovero: basta un momento di insicurezza e la gratitudine diventa un tormento, un pungolo nel punto più molle. Poi, ovviamente, un lunedì arriva sempre e si va a lavorare, e a fine mese si paga la tata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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