RomaNella riunione della Giunta del Senato, ieri, la rappresentazione degli schieramenti era chiara: da una parte il Pdl, con il relatore Andrea Augello, a chiedere tempo e approfondimenti prima di espellere Silvio Berlusconi dal Parlamento. Dall'altra il Pd con i Cinque Stelle, a spingere per una decisione in tempi serrati e a chiudere le porte ai «rinvii senza senso», come li definisce la senatrice Pd Stefania Pezzopane. «Su questa vicenda il Pd ha le idee assolutamente chiare ed è assolutamente unito: lo stato di diritto viene prima di qualsiasi cosa», assicura Dario Franceschini.
Ieri, prima ancora che la Giunta si riunisse, è stato l'ex pm Felice Casson a dare la linea ai suoi: «Sentiremo, approfondiremo e poi voteremo. Nessun pregiudizio ma non tollereremo nessuna strategia dilatoria». Resta però il problema che Pdl e Pd sono alleati nella stessa maggioranza, quella che sostiene il governo di Enrico Letta, e che i contraccolpi delle decisioni della Giunta possano abbattersi proprio su quell'esecutivo. E questo comporta contraddizioni e divisioni tra gli stessi democrat chiamati a decidere delle sorti del Cavaliere. Divisioni percepibili più nei toni e negli atteggiamenti che nei comportamenti concreti: al dunque, nessun parlamentare del Pd si sognerebbe di sostenere che la decadenza del Cavaliere dal Senato, sulla base della legge Severino, non vada votata. C'è però una forte preoccupazione, nell'ala governativa del Pd che guarda a Napolitano e a Letta, di «non dare al centrodestra alcun pretesto per fare la vittima o per denunciare che la decadenza di Berlusconi sia stata una scelta politica, l'abbattimento di un avversario per via giudiziaria», come spiega un senatore lettiano. E di evitare quindi che le conclusioni «inevitabili» della vicenda diventino un boomerang per il governo, destabilizzandolo, ma che ci si arrivi per gradi, senza strappi, senza prestare il fianco ad alcuna critica in punto di diritto. Lo stesso Guglielmo Epifani, che pure ripete ad ogni pie' sospinto che, in nome della «legge uguale per tutti», Berlusconi deve decadere, ha parlato di «tempo necessario da concedere alla difesa per argomentare le proprie ragioni». Epifani, in accordo con il premier e con il capo dello Stato, vuole che si arrivi al redde rationem in maniera soft. Per questo, nei giorni precedenti la riunione di ieri, ci sono state una serie di caute aperture, e Luciano Violante si è assunto il duro compito di assumere una linea coraggiosamente garantista, non escludendo a priori gli approfondimenti anche costituzionali della legge Severino.
Le reazioni violente che sono arrivate dalla base (Violante è stato linciato sui social network e perfino fatto oggetto di lanci d'acqua alla Festa del Pd di Genova) sono suonate come un chiaro monito per tutti: il Pd non può permettersi nessun ammorbidimento della linea verso il leader del centrodestra. Anche perché a fare da cane da guardia si ritrova da un lato i Cinque Stelle, pronti a denunciare ogni minimo cedimento, e dall'altro il quotidiano Repubblica, pronto a mettere alla gogna eventuali «traditori» della linea dura. E il capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda, viene considerato nel suo stesso partito fin troppo sensibile alle indicazioni di Largo Fochetti.
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