Per carità, le norma parlano (parlerebbero) chiaro: non si va a scuola inalberando simboli politici. Poi però capita un episodio come quello di Caserta di cui abbiamo riferito ieri (un ragazzo colpevole di indossare una maglietta con una foto di Berlusconi, costretto a spogliarsi e umiliarsi) e uno si domanda: ma davvero una cosa del genere sarebbe successa anche se la foto fosse stata di Napolitano, di Letta, di Monti, ma anche di Prodi o D'Alema. Non lo sapremo mai. Quel che è sicuro è che nessuno si è scandalizzato, nessuno si è chiesto se una tale inferocita reazione contenesse per caso un briciolo di quell'eccesso vagamente razzista che ha a che fare con il berlusconismo, pro e contro, diventato un'ossessione e una guerra di religione. Volevo vedere se per caso altri giornali di area liberale avessero sollevato il problema, ma nessuno ha ritenuto interessante l'argomento. Proviamo a farlo noi con calma. Io come tutti quelli della generazione nata con la guerra o poco dopo, abbiamo assistito alla trasformazione della scuola e in particolare dei simboli politici ammessi, o tollerati o anche promossi. Per dire il più facile: la kefiah palestinese è un simbolo di solidarietà con i palestinesi ed una manifestazione militante contro Israele. Certo, non ci sono foto né scritte, ma la semantica non ha bisogno delle didascalie. La scuola italiana è diventata nel corso dei decenni un teatro di simboli politici. In genere, tutti di sinistra. Ma ne abbiamo visti anche di fascisti e, con nausea, anche di nazisti. Siamo sicuri che la scuola come istituzione e le singole scuole come luoghi di studio e di educazione, abbiano sempre reagito allo stesso modo? Che un ragazzo si metta una maglietta con la foto di Berlusconi e la porti in classe, è sicuramente sbagliato, come lo sarebbe se la foto fosse di chiunque altro. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Che sarebbe accaduto se la foto fosse stata di Obama? Suvvia, sappiamo tutti come gira il mondo delle emozioni politiche in questo nostro Paese, e lo sappiamo proprio dal mal di pancia che la base del Pd esibisce nelle piazze e in televisione: a un'intera generazione, forse due, è stato spiegato che Berlusconi non è un uomo politico di una certa tendenza che può piacere o non piacere. No, è stato diffuso il verbo secondo cui l'ex presidente del Consiglio è una creatura del male, un demonio di abbattere e non da combattere e che chiunque stia della sua parte meriti la gogna, il tipo di gogna che, se le cronache non mentono, è stato inflitto all'alunno colpevole di intrattenere rapporti col demonio, più che esprimere una simpatia politica in modo sbagliato e sempliciotto.
Non ci vuole molta fantasia a verificare come che questo involontario test dimostri la permanenza dell'intolleranza. Ed è proprio la tolleranza - ma si dovrebbe dir meglio il rispetto - ad essere tornata in ballo. Viviamo una stagione in cui si chiede, a ragione, rispetto per le donne, rispetto per le coppie gay, non parliamo del rispetto che si deve alle persone con variazioni cromatiche della pelle. Si parla di programmi scolastici fondati sul rispetto per insegnare ai bambini come ci si comporta in famiglia, fra amici, fra coniugi, fra innamorati. Ed è tutto un inno - puramente di facciata - alla tolleranza e al rispetto.
Ma la storia dello strano ragazzo che pretendeva di presentarsi in classe indossando la fotografia del politico Berlusconi mostra bene quanto l'inno al rispetto non contempli quel particolare politico e il suo partito. Ciò è in sintonia emotiva con le trovate di Zanda che per andare per le spicce propone la non eleggibilità di Berlusconi e la non votabilità del movimento 5 Stelle. Qualcuno dirà che stiamo andando troppo in là di fronte a un episodio in fondo minimo e provinciale, ma sappiamo tutti che non è così. Nessuno protesterebbe mai, ha mai protestato, per l'introduzione di simboli sindacali e politici a scuola. Ma vogliamo ricordare le maestre che portavano e portano nei loro cortei politici con striscioni politici e simboli politici, i loro alunni delle elementari in piazza? E allora non facciamo gli ipocriti e non permettiamo agli altri di esserlo.
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