L'ultimo schiaffo al Cav: i giudici gli vietano Dublino

Il leader di Forza Italia aveva chiesto il permesso di partecipare al congresso del Ppe. Ma il tribunale di Milano ha detto no: non può andare all'estero. La difesa fa ricorso

L'ultimo schiaffo al Cav: i giudici gli vietano Dublino

La sensazione del cerchio che si stringe, degli spazi di libertà che vengono meno: perché la condanna al carcere smette un po' per volta di essere solo il dispositivo di una sentenza, e inizia giorno dopo giorno a venire tradotta in pratica. Per la seconda volta, ieri Silvio Berlusconi si ritrova a dover fare i conti con le conseguenze concrete del suo status di condannato. Per la seconda volta, la magistratura milanese gli rifiuta il permesso di uscire dall'Italia per un appuntamento politico. Sarà anche il leader di un partito, ma per i giudici questo non è un buon motivo per consentirgli di andare a Dublino a partecipare al congresso del Partito popolare europeo.

Decisione inevitabile, dicono a Palazzo di giustizia. Ma per Berlusconi è comunque una botta, il preannuncio delle restrizioni ancora più rigide che la sua vita subirà dal mese prossimo, quando - sempre per effetto della condanna per frode fiscale nel processo diritti tv - il tribunale di Milano deciderà se concedergli l'affidamento ai servizi sociali o spedirlo agli arresti domiciliari.

A negare al Cavaliere il biglietto per l'Irlanda è un decreto firmato da Elena Bernante, presidente dell'undicesima sezione del tribunale milanese, che si occupa dell'esecuzione delle pene. Ma già la Procura della Repubblica aveva dato parere negativo alla richiesta, come già accaduto nel dicembre scorso quando - anche allora per un incontro del Ppe - Berlusconi aveva chiesto di andare a Bruxelles. Nella loro istanza, i legali dell'ex premier avevano fatto presente che Dublino fa parte non solo dell'Unione Europea ma anche dell'area Schengen, e che una serie di accordi garantiscono la libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione. La Procura aveva replicato che la libera circolazione è subordinata al rilascio da parte dello Stato di provenienza di un documento valido per l'espatrio. E a Berlusconi il passaporto è stato ritirato il 2 agosto scorso, quando la Cassazione ha reso definitiva la sua condanna a quattro anni di carcere, di cui tre condonati, per la vicenda dei diritti tv. Deroghe, sostiene la Procura, sono possibili solo per i condannati a pene non detentive.

La difesa di Berlusconi non si è arresa: e ha presentato un ricorso al questore di Roma chiedendo che venga modificata la carta di identità dell'ex premier, che oggi reca la dicitura «non valida per l'espatrio». La legge che impedisce l'espatrio ai condannati, sostengono, risale al 1967 ed è stata ampiamente superata dai trattati internazionali successivi. Ma qualunque sia l'esito del ricorso per il viaggio a Dublino, al Cavaliere resta la sensazione che d'ora in avanti la sua attività politica sarà sempre più condizionata dalle restrizioni che la magistratura riuscirà ad imporgli in forza della sentenza dell'agosto scorso.

Da questo punto di vista l'appuntamento cruciale è quello del prossimo 10 aprile, quando il tribunale di sorveglianza di Milano deciderà sulla richiesta di affidamento ai servizi sociali. A Berlusconi, avendo da scontare solo un anno, è stata risparmiata la corvé degli incontri con gli psicologi e gli assistenti sociali, e i giudici prenderanno la loro decisione unicamente sulla base degli atti processuali. Se la richiesta venisse accolta con effetto immediato, il Cavaliere si troverebbe di fatto confinato a Roma, la città dove ha la residenza, nel pieno della campagna elettorale per le elezioni europee, costretto a chiedere il permesso dei giudici per partecipare a qualunque evento fuori dalla capitale: e con il timore che l'okay dei giudici sarebbe condizionato negativamente anche dall'esigenza di garantire comunque a Berlusconi il folto apparato di sicurezza che accompagna i suoi spostamenti.

In teoria - ed è una soluzione che a Berlusconi non dispiacerebbe - il tribunale potrebbe accogliere la richiesta di affidamento facendola scattare dopo l'estate.

Questo lascerebbe al Cavaliere libertà di movimento (almeno in Italia) durante la campagna elettorale. Ma poi il problema si riproporrebbe. A meno che dalla Corte europea dei diritti dell'uomo arrivi quell'ancora di salvezza che è oggi il vero obiettivo della difesa del leader di Forza Italia.

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