Città del Vaticano «Ho partecipato al conclave del 2005 e ricordo bene come andarono le cose, non mi stupisco». José Saraiva Martins, 81 anni, è tra i cardinali che conoscono meglio Papa Bergoglio: quando guidava la congregazione per le Cause dei santi (ha «fatto» 1320 tra santi e beati tra cui Padre Pio, Pio IX, Giovanni XXIII, Madre Teresa) riceveva spesso le visite dell'arcivescovo di Buenos Aires. Mostra le foto scattate l'altra mattina in Sala Clementina: «Siamo amici da anni, come fratelli».
Non è sorpreso dall'elezione di Papa Francesco?
«È la persona ideale. Semplice, autentico, genuino, che infonde fiducia. È facile entrare in rapporto con lui. Un pastore vicino al popolo di Dio».
Ha detto che vorrebbe una Chiesa povera e per i poveri.
«Sono parole molto sentite e molto significative che esprimono tutta la sua linea pastorale. Nel nome Francesco c'è il suo programma: la semplicità e l'umiltà del santo di Assisi che lasciò tutto per dedicarsi alla Chiesa. È della Chiesa che gli aveva parlato il Signore tramite il crocifisso di San Damiano: Va' e ripara la mia casa. La Chiesa ha sempre bisogno di riparazioni, allora come oggi».
I gesti del Papa non rappresentano una rottura con i predecessori?
«Al contrario. C'è una continuità della sostanza che ognuno applica con il suo stile. Chi ha detto che il Papa dev'essere una fotocopia del predecessore? Non è possibile e nemmeno auspicabile, ogni Pontefice dà alla Chiesa il contributo del suo carisma. Per fortuna siamo tutti diversi».
Di quali riforme ha bisogno oggi la Chiesa?
«La Chiesa ha 2000 anni di storia ed è viva, vivissima, come i fatti di questi giorni dimostrano. La Chiesa non è in decadenza. I 6000 giornalisti venuti a Roma dimostrano l'interesse che essa suscita nella società contemporanea. Tanto interesse è molto positivo».
Da dove cominciare, dalla riforma della Curia?
«San Francesco fece una grandissima riforma della Chiesa con la sua vita e la sua testimonianza, e generò cambiamenti anche nella società civile. Come qualsiasi società costituita da uomini, la Chiesa ha sempre bisogno di essere riformata. Ci sono incrostazioni storiche che rendono inefficace la sua missione e vanno estirpate».
Perché Papa Francesco insiste a definirsi vescovo di Roma e non Papa?
«Egli sottolinea il compito del pastore che deve stare con le pecore, guidarle e illuminarle, e al contempo la collegialità tra vescovi, di cui non si parlava prima del Concilio. Questo rapporto intimo e profondo tra vescovi e Pietro è stata una grande riforma».
E oltre a rifondare la Curia?
«L'evangelizzazione. Annunciare il Vangelo è la vera e unica missione della Chiesa. Oggi la nuova evangelizzazione è particolarmente urgente in Europa perché l'uomo è abituato a vivere come se Dio non esistesse. L'indifferenza religiosa si diffonde. Evangelizzare non è un'esclusiva di preti e suore, un ruolo fondamentale ce l'hanno i laici, con la loro vita, la testimonianza».
Il conclave ha eletto il Papa in 24 ore. Un bell'esempio per il Parlamento?
«Noi siamo come una comunità di fratelli che hanno opinioni diverse, discutono liberamente e arrivano a una conclusione. In conclave le schede bianche sono impossibili».
Papa Francesco userà la papamobile o camminerà tra la folla?
«Oltre a proteggerlo, la papamobile serve anche a farlo vedere, lo avvicina a più persone».
Che idea si è fatto della rinuncia di Benedetto XVI?
«L'ha spiegato bene: l'ha fatto per il bene della Chiesa. È un esempio straordinario di distacco dal potere».
La vecchiaia può diventare un problema per il Papato?
«La vecchiaia non esiste, io la chiamo gioventù accumulata. È un errore giudicare una persona in base al numero di rughe, è un effetto decadente di una cultura decadente.
In altre culture, come nella tradizione ebraica, non esiste il concetto di vecchio ma di anziano. Sono d'accordo con Einstein: vecchio è colui in cui i rimpianti superano i sogni. Non ho ancora trovato qualcuno che mi abbia dato torto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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