Roma - Il professor Giuliano Urbani, tessera numero due di Forza Italia ed estensore del programma del Polo del buongoverno del 1994, strabuzza gli occhi: «C'è da aver paura a vivere in un Paese dove un magistrato può dire certe cose». Ce l'ha con il pm Antonio Ingroia, secondo cui Forza Italia nacque come punto di riferimento di Cosa nostra.
Professor Urbani, che effetto le ha fatto leggere la tesi di Ingroia?
«Sono rimasto sbigottito e penosamente amareggiato. Ma c'è un'aggravante».
Che sarebbe?
«La tesi è assolutamente bislacca e offensiva. Sarebbe già abbastanza grave se a sostenerla fosse un privato cittadino. Al quale si potrebbe rispondere Si vergogni».
E invece?
«E invece a parlare è un magistrato. E quando apre bocca un magistrato ci si aspetterebbe uno straccio di elemento probatorio».
E invece nulla.
«È questo che mi spaventa. C'è da aver paura a vivere in uno Stato in cui un pm può dire impunemente certe cose».
Quindi comprende l'ira di molti militanti che si sentono diffamati dalla tesi di Ingroia?
«Assolutamente sì. E le ricordo due elementi. Il primo è che per iscriversi ai club, nel 1994, erano necessarie due condizioni: approvare il manifesto del buongoverno ma soprattutto presentare un certificato penale intonso».
Il secondo elemento?
«È un aneddoto che spazza via le tesi di Ingroia. Appena creata Forza Italia, a ridosso delle elezioni politiche, un pm di un piccolo comune calabrese ordinò il sequestro delle liste di tutti gli iscritti ai club. C'era il sospetto di infiltrazioni della criminalità organizzata».
E?
«Rimanemmo raggelati ma demmo l'ordine di consegnare tutti gli elenchi dei nostri iscritti. Tutti».
Cosa venne fuori?
«I magistrati passarono al setaccio tutto quanto. E sa cosa venne fuori?».
Me lo dica lei.
«Niente. Assolutamente niente. Si sta parlando di indagini accurate su milioni di persone. L'inchiesta finì nel nulla».
Molti militanti di allora si sentono offesi da Ingroia anche se Forza Italia non esiste più. Che effetto le fa?
«Per me è una grande consolazione. Significa che quell'esperienza, quel sogno, ha lasciato il segno».
Un sogno che può riavverarsi?
«Lo spazio c'è ma non certo con le caratteristiche dell'epoca».
Cosa è cambiato da allora?
«Tutto. Allora c'era da impedire che andassero al potere gli eredi del comunismo. Ora non è più così».
Gli avversari hanno cambiato pelle?
«Sì, anche per merito nostro, come ha di recente riconosciuto sul Corriere della Sera, Sergio Romano. Uno che non è mai stato tenero con Silvio Berlusconi».
Ora si parla di far rivivere Forza Italia. Può funzionare?
«Il Paese ha ancora bisogno di riforme liberali. Ma per attuarle occorrerebbe un monocolore azzurro.
Perché avete fallito?
«Perché ricordo le infinite mediazioni con gente come il Bossi dell'epoca, con Tabacci, Follini e un certo Fini».
Giuliano Urbani
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