Dalla mafia al calcio, s'indaga soltanto su uno

Sotto assedio dal ’94: le procure tentano di coinvolgere il Cav in ogni inchiesta. Ma collezionano flop

Il pm di Napoli Henry John Woodcock
Il pm di Napoli Henry John Woodcock

È un carosello che va avanti da quasi vent'anni. Articolo dopo articolo, i pm hanno sfogliato ormai mezzo codice penale: tutte le inchieste portano a Silvio Berlusconi come le strade a Roma. Il Cavaliere è stato attaccato come imprenditore, come politico e come uomo. E i tentativi di mandarlo al tappeto non hanno trascurato alcun lato. Ci hanno provato con le tangenti pagate dalle imprese del Biscione alla Guardia di finanza: è la prima pagina di una saga che non vuole arrivare ai titoli di coda e come tutti gli altri capitoli ha smarrito la trama d'attacco. Poi la strategia aggressiva si è fatta via via più raffinata: le procure sono passate dalle gambe pregiate di un calciatore, Gianluigi Lentini, venduto al Milan dal Torino, e dalla presunta, spinosissima, contiguità fra Forza Italia e Cosa nostra. Qui si sono esercitate Firenze, Caltanissetta e Palermo: a Firenze Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri sono stati iscritti nel registro degli indagati con gli pseudonimi di Autore 1 e Autore 2, perché ritenuti addirittura i mandanti delle stragi; non si è cavato un ragno dal buco ma nel decreto di archiviazione naturalmente non manca il riferimento alla presunte convergenze fra l'ala stragista di Cosa nostra e il partito azzurro.

Ombre. Suggestioni. Dietrologie immerse nel sangue innocente. Anche Caltanissetta ha seguito la stessa pista fino ad andare contro il solito muro della mancanza di riscontri, prove, fatti per documentare quanto sussurrato dalla solita batteria sincronizzata di pentiti. A Caltanissetta, per essere chiari, si ipotizzava che il Cavaliere fosse il mandante delle stragi di Capaci e via D'Amelio.

Due pagine fra le più orrende del mattatoio repubblicano. Conteggiate, pure quelle, nel pallottoliere di Arcore. Ma in Italia tutto si metabolizza. Anche l'indagine di Palermo che si limitava, si fa per dire, a proporre un Cavaliere, accompagnato dall'immancabile Dell'Utri, collocato nella zona grigia del concorso esterno. Curioso, per anni si è proposto il teorema del Berlusconi seduto al tavolo sanguinario dei Corleonesi e nello stesso tempo si è alternato un altro spartito, in cui il Cavaliere pagava il pizzo ai mafiosi che cercavano di taglieggiarlo. Vittima e carnefice insieme, due, anzi tre parti in commedia, ubiquità che neanche Padre Pio, ma al Cavaliere dei miracoli - giocando un po' con le date e andando avanti e indietro sul calendario - si può chiedere tutto. E si può contestare qualunque reato e qualunque episodio.

Le mazzette per agevolare le imprese, i falsi in bilancio per comprare un calciatore che non era nemmeno un campione, le telefonate con un pezzo grosso della Rai come Agostino Saccà per piazzare attrici e attricette. Impossibile far scorrere tutti i processi, i capi d'accusa, le evoluzioni delle indagini, volonterosamente ripartite dal punto esatto in cui si erano arenate. Tutto evaporato fra archiviazioni, assoluzioni, prescrizioni. Per arrivare a conquistare il bunker di Arcore si è saccheggiato un intero album di personaggi legati al Cavaliere: le avvenenti Olgettine e le serate al bunga bunga; l'avvocato inglese David Mills che prima aveva confessato al commercialista e poi aveva ritrattato; Marcello dell'Utri, l'amico di una vita affacciato sui misteri siciliani e ingoiato da un processo interminabile che ha scandagliato antiche cene e menu degli anni Settanta.

Il rodeo nella polvere non trascura niente e nessuno: i presunti intrighi dell'avvocato Cesare Previti, la guerra di Segrate e il duello sulla Mondadori, le rivelazioni del teste Omega, al secolo Stefania Ariosto.

Pareva che fosse lei, come Elena nei poemi omerici, la donna fatale che avrebbe travolto lo scintillio dell'impero. E invece no. È dal 1994 che i giornali parlano di scontro finale, ma il ko non è mai arrivato. E i pm non sono mai scesi dal ring.

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