La componente veramente «artistica» di Julian Charrière non risiede nei piccioni colorati, ma nel suo tragicomico linguaggio colombeggiante. Espressioni - quelle usate da Charrière per descrivere la propria «performance» - che sono la summa di un certo snobismo da MoMa del Bar Sport. Julian, (novello genio dell'«Ornitologic Art») ha solo 25 anni, ma sul fronte dell'ermetismo lessicale tuba già da veterano. Ieri il suo telefono era rovente di richieste di chiarimenti giornalistici. A tutti, il tinteggiatore di pennuti, ha risposto la stessa cosa: «I piccioni fanno parte del nostro landscape urbano e, poiché si posano a terra, anche del nostro Common Ground». Lo ha ripetuto come un mantra, lasciando gli interlocutori in evidente soggezione dinanzi a roba impegnativa come il landscape urbano e - soprattutto - il Common Ground. Nato a Morges, in Svizzera, nel 1987, Charrière collabora con Julius von Bismarck al «progetto di osservazione socio-urbanistica» (altro che tela, colori e pennelli...) proposto dallo studio Vogt Landscape Architects; un trust di cervelli che ha partorito «Pigeon safari is open in Venice». Di cui, oggi, siamo tutti qui a parlare dopo che ieri il Corriere della Sera ha fatto planare in prima pagina la foto dei piccioni multicolor. «Attraverso una gabbia posizionata settimane fa sopra alcuni tetti e dotata di un particolare sistema di erogazione di acqua e cibo - spiega l'artista - sono riuscito a far cambiare, senza alcun pericolo per l'animale, la pigmentazione dei piccioni, il cui piumaggio assume colorazioni alternative per alcuni mesi. Il metodo è quello normalmente usato per tracciare le migrazioni degli uccelli. I colori nei colombi durano pochi mesi e poi scompaiono da soli». Ma quanti ne ha colorati? «Un centinaio, puntando su tre varianti: blu cobalto, verde smeraldo e rosso-tiziano».
E poi: «In questa 13^ Biennale d'architettura ho puntato sull'apparente trasformazione genetica dei piccioni vivi anche per un discorso legato alla sensibilizzazione dell'ambiente». Ambiente che è stato sensibilizzato, eccome; almeno a giudicare dalla verve con cui ieri i turisti giapponesi battevano palmo a palmo piazza San Marco a caccia di piccioni policromi in versione souvenir of Venice.
«Nella classifica immaginaria del birdwatching lagunare non è il piccione blu cobalto a contare, ma l'avvistamento di quello rosso, cosa rarissima», commentava ironicamente il Corsera. Ricordandoci anche un altro gustoso aneddoto, come quello del 1962 (sempre in occasione della, quantomai recidiva, Biennale di Venezia): «Durante l'inaugurazione del presidente della Repubblica, Antonio Segni, un artista liberò dei topi d'acqua che presero a correre tra la folla, generando il panico».
Il presidente Segni la prese malissimo e minacciò di far chiudere anticipatamente la Biennale; pericolo scongiurato in extremis grazie alla mediazione del sindaco Giovanni Favaretto Fisca, gran notabile targato Dc. Bestiale potenza della «balena bianca».
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