Manovre al centro: Casini licenzia l'Udc

Il leader del Terzo polo, spaventato dalla possibile discesa in campo di Montezemolo, disegna nuovi scenari: "Anche sacrificando il partito"

Manovre al centro: Casini licenzia l'Udc

Roma - Udc addio. Grandi manovre di Pier Ferdinando Casini che, davanti ai suoi giovani, prefigura lo scioglimento del suo partito: «Dopo la vicenda Monti, nulla sarà come prima - dice - e noi lavoreremo perché cambi nella sostanza la politica italiana e probabilmente, per fare questo, dovremo anche sacrificare il nostro partito, perché bisogna andare oltre quello che c’è, occorre creare qualcosa di nuovo». E ancora: «È finita l’epoca delle grandi armate che si mettono insieme per vincere le elezioni e poi, il giorno dopo, litigano. È successo con Prodi e anche con Berlusconi». A cosa sta pensando il leader dell’Udc? «Visto che non può cambiare se stesso, cambia il partito», dice uno che lo conosce bene. Forse spaventato dal nuovo che avanza, leggasi Montezemolo, Casini cerca di rinnovarsi cambiando la pelle alla sua Udc. Già, Montezemolo: la sua fondazione, Italia Futura, proprio ieri assicurava che è tutto pronto per «andare oltre gli attuali schieramenti. Oltre la destra e la sinistra, offrendo un contributo significativo al Paese». Può Casini subire l’iniziativa di un competitor che si presenta più nuovo di lui? Certo che no. Così, rilancia: faccio qualcosa di nuovo. Dove, per forza di cose, sarà il capo. Un messaggio rivolto a chi ci sta: pezzi moderati di Pd, scontenti del Pdl e, per che no, tasselli di questo governo. Che, in questa fase, è da sostenere con tutte le forze. Anzi, è proprio Casini a lanciare l’allarme: «Se si continua così il governo prima o poi entra in crisi sul serio», dice grave. Si propone come «sminatore» perché bisogna «fare andare avanti tranquillo l’esecutivo; e invece c’è chi tira da una parte e chi tira dall’altra». Ma tra Pdl e Pd sono scintille. In mezzo Casini che, in ogni caso, fa il tifo perché Monti non guardi in faccia a nessuno. «L’emergenza non è finita» e far cadere Monti sarebbe «un atto di irresponsabilità allo stato puro».
Intanto Monti parte per l’estremo oriente per un tour de force di otto giorni. Toccherà Corea del Sud, Giappone, Cina e Kazakistan con una missione ben precisa: vendere il «prodotto Italia» per attrarre investitori privati e istituzionali. Darà per quasi incassata la riforma del mercato del lavoro che, tuttavia, in Italia continua a spaccare i partiti di maggioranza. Mentre le opposizioni ringhiano come non mai. Di Pietro usa toni ruvidi: «Faremo opposizione in Parlamento e nelle piazze per impedire la modifica dell’articolo 18; bisogna evitare che si ritorni al Medioevo». E dalla Lega arrivano gli attacchi di Calderoli: «Poche persone si possono paragonare a Monti, a me viene in mente Schettino: ci sta portando contro gli scogli». E poi, brutale: «Un uomo che mi sta così sulle p... come Monti non l’ho mai trovato».
Qualche malessere Monti l’ha provocato anche oltreconfine visto che a Madrid non è andata giù la frase del premier a Cernobbio. Monti, a villa d’Este, aveva detto che «la Spagna sta dando preoccupazioni all’Ue perché i tassi salgono e ci vuole poco per ricreare un contagio che potrebbe allargarsi». Una sberla.

La stampa spagnola ha parlato di un governo Rajoy piccato e che ha preteso una nota ufficiale da parte di Betty Olivi, portavoce di Monti. «Il premier ha ribadito la sua totale fiducia nella determinazione del governo spagnolo in merito al consolidamento fiscale, anche per evitare allargamenti degli spread», la toppa al buco montiano.

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