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La Margherita è finita, i guai no L’ira di Parisi: «Golpe di Rutelli»

La Margherita è finita, i guai no L’ira di Parisi: «Golpe di Rutelli»

Roma«Gli ultimi minuti di vita della Margherita», è il titolo - tra nostalgico e surreale - del video amatoriale postato ieri su YouTube dal parlamentare Pd Roberto Giachetti. Si vedono Francesco Rutelli ed Enzo Bianco alla presidenza che invitano a votare; si vede qualche decina di esponenti accaldati e distratti che alzano il tesserino; un fitto brusio di sottofondo. Risultato: 86 sì, 3 no e un astenuto. Pathos? Zero, a parte l’intemerata di Arturo Parisi, che se ne va sbattendo la porta e accusando la presidenza di «colpo di Stato»: «Le conclusioni di questa assemblea sono già prefissate, si impedisce ogni verifica e confronto», si sfoga con i giornalisti, tenuti rigorosamente lontani dall’assemblea a porte chiuse che deve decidere dei destini del partito finito nella bufera del caso Lusi.
«Sinceramente, vista la gravità della vicenda - dice Ermete Realacci - mi sarei aspettato anche io un dibattito politico più appassionato e più vero. Ma c’era una gran voglia di chiudere e metterci una pietra sopra». E in effetti, a parte Francesco Rutelli che in quanto presidente era tenuto a fare una relazione, e un paio di interventi accorati di dirigenti ex democristiani (Franco Marini e Pierluigi Castagnetti) e dello stesso Realacci, nessun altro big della Margherita ha aperto bocca. Rosy Bindi, Dario Franceschini, Peppe Fioroni, Enrico Letta: tutti presenti, votanti e muti. E tutti scivolati via da uscite laterali, scantonando i giornalisti lasciati in attesa per sei ore sul marciapiede.
Et voilà: la Margherita si è ufficialmente suicidata. Perché, chiederebbe basito qualunque passante interpellato al bar o alla fermata del bus, esisteva ancora? Ebbene sì: fino a ieri pomeriggio esisteva (come d’altronde continuano ad esistere i Ds, o Forza Italia, o An) e aveva pure in cassa una ventina di milioni di euro di finanziamenti statali, nonostante le presunte malversazioni del tesoriere Luigi Lusi e le spese allegre degli ultimi anni. Si è sciolta ieri chiedendo «scusa agli italiani per quanto è successo» (proprio così: su richiesta di Pierluigi Castagnetti hanno votato un documento che dice «scusateci tanto») e deliberando di restituire buona parte del proprio gruzzolo allo Stato. Con qualche cautela: 5 milioni verranno subito girati alle casse pubbliche; 2 milioni restano come patrimonio della Margherita per le operazioni di liquidazioni (personale, sedi, atti amministrativi e così via). Al termine di queste operazioni, quanto rimarrà in cassa verrà restituito allo Stato. Da questo fondo verranno anche prelevati i denari per le azioni risarcitorie e legali nei confronti dell’ex tesoriere Luigi Lusi. Cinque milioni andranno a costituire un fondo di garanzia per azioni legali e per ogni altra spesa che la (defunta) Margherita si troverà a dover sostenere. Al termine della vicenda Lusi, anche questo fondo verrà messo nelle disponibilità dello Stato. Poi c’è un «fondo speciale» di 3 milioni che viene costituito per assicurare la vita e il rilancio del quotidiano Europa, diretto da Stefano Menichini e voce dell’anima più liberal e riformista del Pd. Infine, nel bilancio votato ieri risultano anche 3 milioni di accantonamenti «per l’attività delle donne in politica»: non si tratta dell’argent de poche per la Bindi, ma di un surreale obbligo prescritto dalla legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Che uso ne faranno i liquidatori della Margherita resta misterioso. Le cifre del bilancio sono impressionanti: in un decennio di vita, dal 2001 al 2010, nelle casse del partito sono affluiti ben 228 milioni di euro: circa 176 sono rendicontati, gli altri, a parte quelli rimasti in cassa, sono finiti in tasca a Lusi o in spese non documentate.
Dibattito fiacco, si diceva. Condito da qualche veleno: Rutelli, dopo aver liquidato le contestazioni di Parisi («Non ricordo un congresso o una assemblea dai quali non si sia allontanato protestando») butta lì un dubbio malizioso: «Non ho mai saputo nulla di come abbiano speso le loro quote di finanziamento pubblico, prese fino al 2006, i partiti cofondatori della Margherita». Ce l’ha con i «Democratici», creatura parisian-prodiana che fino all’anno scorso aveva ancora una propria sede a piazza Santi Apostoli, ma ad irritarsi è Castagnetti: «Noi del Ppi li abbiamo tutti spesi in campagne elettorali, e c’è un bilancio approvato».

Poi l’ex segretario popolare si accalora: «Non basta chiedere scusa ai militanti della Margherita, per quello che è successo con Lusi e per i mancati controlli sui soldi pubblici. Questa vicenda è stata un duro colpo per l’immagine stessa della politica davanti ai cittadini. È a tutti loro che dobbiamo delle scuse».

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