Roma - Roberto Maroni, capogruppo
della Lega Nord alla
Camera e già ministro del
Welfare nel governo Berlusconi,
che cosa pensa delle
dichiarazioni del presidente
di Confindustria Montezemolo
che ha definito i sindacati
«professionisti del veto»?
«Montezemolo dice cose condivisibili
nel merito perché
una parte dei sindacati ha
un atteggiamento conservatore,
è schierato ideologicamente
ed è contrario a qualsiasi
innovazione significativa
nel modello contrattuale.
Ma si tratta di una parte: la
Cisl ha sempre sostenuto la
necessità di innovare, mentre
la Cgil ha tenuto un atteggiamento
negativo. Nel metodo,
però, non credo che
sia opportuna una operazione
“Confindustria
contro sindacato” perché
occorre superare le
divisioni e lavorare per
far fronte alla crisi».
Quindi è d’accordo
con il
suo collega
di partito
Calderoli
che ha
auspicato
magg
i o r
«senso
di responsabilit
à » perché non è il
momento dei
«regolamenti di
conti»?
«Sì, è il momento
di mettereda parte
la campagna
elettorale e considerare
che siamo
tutti chiamati ad
affrontare una stagione
difficile che
richiede riforme
importanti. Il sindacato
non può pensare
di essere la parte
che pone veti ma
non vorrei che qualcuno
si fosse messo in testa
che, visto che la sinistra radicale
è fuori dal Parlamento,
si possa fare ameno di dialogare
con loro. Sarebbe un
grave errore emarginare
questa parte che è presente
nel sindacato».
Anche la Lega è chiamata a
fare la sua parte visto che i
flussi elettorali dimostrano
che molti operai l’hanno votata.
«Il voto operaio lo prendiamo
da sempre, oggi è molto
più evidente. Sul piano politico
vuol dire che sulle questioni
poste dal mondo del lavoro
la ricetta della sinistra
non piace mentre piace la
ricetta della Lega che è
il federalismo. Non
possiamo però farci
carico delle questioni
tra lavoratore e datore
di lavoro dove c’è il
sindacato. Ma il sindacato
deve
rendersi conto
che ha una
possibilità di
sopravvivere
come corpo
intermedio
rafforzando
la
sua autonomia
dai
partiti,
cosa
c h e
la Cisl
sta facendo
ma non la Cgil che
è il più apertamente
schierato. Spero
che lo shock della sinistra
radicale serva
per risvegliarsi
dal torpore e tornare
a fare il sindacato
e non la cinghia di
trasmissione perché
questa funzione è stata
sonoramente e clamorosamente
bocciata
dall’esito del voto».
Nel programma del
centrodestra sono
enfatizzati punti come
la detassazione degli
straordinari e il rafforzamento
della contrattazione
di secondo livello che al sindacato
non sono piaciuti.
«Se il sindacato non si rinnova,
rischia di essere superato
da un mondo del lavoro
meno ideologico e più pragmatico.
Noi svolgiamo un
ruolo di supplenza nei confronti
dei milioni di lavoratori
che non sono sindacalizzati
e che sono la stragrande
maggioranza. Su 22 milioni
di lavoratori meno di 5milioni
sono iscritti al sindacato, il
resto sono pensionati. Un sindacato
che si rifaccia alla falce
e al martello è destinato a
finire comela sinistra radicale.
Di qui la necessità di riprendere
il dialogo per evitare
derive incontrollate da
parte di chi si sente messo ai
margini. Dobbiamo evitare
di acuire i conflitti sociali.
Quando si subisce una sconfitta
politica cocente o si elabora
il lutto o ci può essere
una reazione violenta».
Sul tavolo del nuovo governo,
però, non ci sarà solo Alitalia,
ma anche i contratti
dei medici ospedalieri e
quelli degli insegnanti precari.
Che farete?
«Dobbiamo affrontare in termini
innovativi il rapporto
con il pubblico impiego. Dobbiamo
sostenere il criterio
meritocratico. Questo comporta
un cambiamento di attitudine
della pubblica amministrazione
che è la più conservatrice
tra i conservatori
e uncambiamento di attitudine
da parte nostra perché
nella precedente esperienza
ci sono state spinte agli aumenti
a pioggia non legati al
merito. Secondo la mia personale
opinione, questo segnale
di discontinuità forte
può essere accompagnato
da un provvedimento che in
qualche modo risolva le questioni
sul tappeto a condizione
che le regole per il futuro
cambino».
E per la riforma della contrattazione
come agirete?
«Il modello è quello del contratto
degli artigiani fatto nel
2005. La stessa Confartigianato
lo definì federalista perché
era differenziato su base
territoriale legando le retribuzioni
al costo della vita.
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