Roma - Maroni prende il volante del Carroccio, difende l’ormai ex capo, avvia le epurazioni, corre in Procura, promette pulizia ma un po’ trema. I suoi timori? Che la guerra interna non sia finita e che nel combattimento voli qualche colpo basso; e che forze centrifughe possano minare l’unità del partito. Il giorno dopo l’incoronazione di Bergamo, tuttavia, è lui il protagonista indiscusso della Lega. L’ex ministro dell’Interno, per prima cosa, sfila dai Pm titolari dell’inchiesta sulla presunta truffa ai danni dello Stato in relazione ai rimborsi elettorali del partito e sulla presunta appropriazione indebita ai danni della stessa Lega. Davanti al procuratore capo di Milano, Edmondo Bruti Liberati, Maroni garantisce «piena e totale collaborazione». Bobo, accompagnato dal nuovo tesoriere, Stefano Stefani, e dal sindaco di Varese, Attilio Fontana, abbraccia i magistrati milanese e annuncia: «Se la procura ci chiederà dei documenti siamo pronti a fornirli perché non vogliamo nascondere nulla. Arrivare alla verità e accertare tutte le responsabilità è nel nostro interesse e ringraziamo i magistrati per questa visita, che è avvenuta su nostra richiesta». Non solo: «Siamo pronti a costituirci parte civile in un eventuale processo». L’ex ministro dell’Interno vuole andare fino in fondo ed eliminare le mele marce nel partito: «Stiamo facendo delle verifiche interne - dice - abbiamo incaricato la Pricewaterhouse di verificare la situazione patrimoniale della Lega. I bilanci della Lega sono certificati e siamo pronti a prendere i provvedimenti conseguenti». I pm, invece, hanno chiesto a Maroni di fornire tutti i documenti contabili degli ultimi cinque anni per avere un quadro generale delle spese sostenute dal Carroccio.
Quello che Maroni non si sente di fare è sparare a un uomo morto: Bossi. Tutti, base inclusa, in fondo hanno già perdonato il padre-padrone del Carroccio. Assolto perché, e Bobo lo dice a chiare lettere, «quello che ci ha dato fastidio è la sensazione che qualcuno abbia approfittato della buona fede di Umberto Bossi per interessi personali». L’ira di Maroni è tutta per chi, da anni secondo l’ex ministro dell’Interno, ha plagiato, soggiogato e suggestionato l’Umberto. Un nome su tutti: Rosi Mauro. Adesso è la sua la testa che Maroni vuole vedere rotolare ed è probabile che oggi ne chieda l’espulsione dal partito al Consiglio federale, convocato per le 16. La motivazione: ha disobbedito al capo che le aveva chiesto un passo indietro. Insomma, l’epurazione è appena incominciata. Ma la «pulizia» non sarà facile e Bobo in questo momento ha due paure. La prima è che - a fronte di molti che adesso lo elogiano perché considerato vincente - ci sia qualcuno che covi la vendetta. Gelosie, invidie e rancori non sono affatto sopiti e quando il fango arriva nel ventilatore è difficile rimanere puliti come un ruscello di montagna. La seconda paura è saper gestire un partito che tutto fuorché un monolite. Le spinte autonomistiche dei veneti sono note. Zaia, Dal Lago e Gobbo sono tutti esponenti di peso che spesso mal sopportano la trazione varesin-lombarda del partito. In più, non sono per nulla «amici» del maroniano Tosi che proprio ieri ha lanciato la sua candidatura alla segreteria della Lega in Veneto. Si vedrà al congresso che si terrà il 3 giugno, in contemporanea con quello della Lombardia. Per quanto riguarda il Veneto, per esempio, già il partito è al lavoro sottotraccia per far convergere tutti sulla candidatura di Tosi. Ma cominciano a emergere i mal di pancia: sembra che il capogruppo alla Camera, Dozzo, non l’abbia presa proprio bene. Per la Lombardia, invece, in pole sembra essere Giancarlo Giorgetti: uno che fa il pieno di voti da parte dello zoccolo duro. Poi sarà battaglia per il congresso federale che si terrà prima dell’estate, anche se, confidava ieri proprio Giorgetti: «Alla fine convergeremo tutti su Maroni, non vedo alternative...». Ma, dice un anonimo maroniano, «adesso Bobo deve stare attento e lavorare per tenerci uniti; e quindi cancellare i “barbari sognanti”».
Incombe l’incubo «correnti». Se è vero che il cosiddetto «cerchio magico» sembra aver perso la partita, Maroni non può e non vuole sottovalutare il «rischio balcanizzazione» della Lega. Fino ad ora le spinte centrifughe erano state governate con il pugno di ferro del capo; poi, la malattia di Umberto ne ha intaccato la lucidità. Maroni avrà la forza e la legittimazione interna per mediare e governare un partito complicato? Specie in un momento critico come l’attuale.
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