Maroni vuole trattare e studia il «modello Svp»

RomaUn governo debole, di centrosinistra, con cui trattare di volta in volta gli interessi del Nord, stando all'opposizione e senza sporcarsi le mani. Il segretario federale della Lega preferisce di gran lunga questa opzione, mentre manda avanti i suoi colonnelli (vedi Tosi) a sostenere il contrario, un «governissimo» allargato anche a Pdl-Lega e centro di Monti, scenario in cui Maroni non crede, e per il quale non si spenderà. L'ideale invece, per il governatore lombardo, sarebbe proprio un governo Bersani, per necessità debole, costretto a cercare l'appoggio in Parlamento sempre di nuovo, magari anche dalla Lega, con cui i rapporti si sono reintrecciati ultimamente (Bersani e Maroni, peraltro, sono in relazioni di stima da tempo). L'asse col Pdl non è in dubbio, tant'è vero che al Quirinale salirà una delegazione congiunga, Lega-Pdl (Maroni-Alfano), a sigillo dell'alleanza, e proprio lì il segretario federale inizierà a chiedere al premier Bersani provvedimenti appoggiati dalla Lega, come eliminazione dell'Irap per le imprese (la maggior parte in Padania), revisione del patto di stabilità che paralizza i Comuni ricchi e virtuosi del Nord (tra l'altro, uno degli 8 punti dell'agenda Bersani). Il sentiero che Maroni ha in mente non è dunque quello di una larga coalizione che assicuri alla Lega qualche posto di governo o sottogoverno (la base leghista apprezzerebbe?), ma un altro modello, quello Svp. Cioè il partito autonomista sudtirolese che elegge parlamentari a Roma solo per tutelare gli interessi (leggi: soldi e privilegi) del Trentino Alto Adige. Così dovrebbe fare la pattuglia leghista di stanza nella Capitale, contrattare con chi governa, non importa il colore, vantaggi e garanzie per la macroregione del nord. In fondo, l'idea con cui Maroni ha iniziato la sua segreteria leghista, dopo la lunga stagione «romana» della Lega di Bossi.
Anche in questa chiave autonomista sembra da escludere uno sganciamento Pdl-Lega. Da lato Carroccio, sostenere un governo di sinistra mentre il Pdl, alleato ovunque, è all'opposizione, è un'ipotesi irrealistica («Restiamo coerenti con l'alleanza, non la romperemo certo per dare qualche voto ad una maggioranza raffazzonata in Senato» assicura il vicecapogruppo alla Camera Gianluca Pini). Anche perché nuove elezioni sono alle porte, e non ci si può permettere voli pindarici. Ad aprile ci sono le regionali in Friuli Venezia Giulia, una delle regioni dell'asse nordista Lega-pdl, governata da Lega-Pdl con Renzo Tondo ricandidato. Ma non solo. A fine aprile si rinnovano le amministrazioni di centinaia di Comuni, alcuni dei quali importanti per la Lega, che lì è sempre in alleanza col Pdl. Al voto vanno Treviso, Vicenza, Brescia, Lodi, Sondrio, Udine, e molti altri. E ovunque si corre col Pdl.
Se invece Bersani dovesse capitolare, lo scenario potrebbe essere diverso, com'è convinto che sarà un colonnello di Maroni alla Camera. «Entro giovedì il maiale è ammazzato e cotto, e una volta cucinato, cambia tutto». La metafora culinaria, che pesca dal repertorio barbarico (sognante) leghista, dà i giorni contati a Pier Luigi Bersani e alla sua esplorazione limitata alla latitudine centrosinistra-Grillo.

Il passo successivo, secondo la Lega, è un altro nome Pd, che potrebbe essere Enrico Letta, non sgradito al Carroccio. Altri nomi su cui il Carroccio non si metterebbe di traverso, nell'ottica di un governo allargato, è quello di Bombassei, patron vicentino della Brembo, nel cuore della Padania leghista, e deputato montiano.

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