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Marrazzo in aula: sequestrato mentre mi filmavanoil processo »

RomaParla di dignità calpestata, di vita familiare e professionale distrutta, descrive il preciso momento in cui si è reso conto di aver compiuto il più grande errore della sua vita. Era il 3 luglio del 2009, il giorno in cui Piero Marrazzo ha compromesso del tutto la sua carriera politica. E ora l'ex governatore del Lazio fa una gran fatica a ripercorrere quei momenti in un'aula di Tribunale.
Il processo è quello ai quattro carabinieri che lo hanno ricattato dopo averlo sorpreso, e filmato, con un transessuale in un appartamento in via Gradoli, a Roma. Allora era presidente della Regione. All'appuntamento con Natalie ci andò con la scorta, ma gli ultimi metri li fece a piedi. Non era la prima volta che andava in quella casa, appena entrato cominciò a spogliarsi. Poi, però, suonò il campanello. Erano in due, in borghese. «Fui sottoposto ad una violenza psicologica molto forte - racconta - mi trovai in stato di restrizione, mi sentivo sotto sequestro. Volevo uscire a tutti i costi da quella casa ma non mi fu consentito neppure di rivestirmi e non mi resi conto che stavano girando un video». Invece le immagini c'erano. Fu l'allora premier Silvio Berlusconi a dirglielo, quattro settimane dopo, quando ormai aveva «rimosso» il fattaccio, compreso il dettaglio degli assegni dati ai militari infedeli per mettere tutto a tacere («chiesero prima una cifra spropositata, circa 80mila euro, io dissi che non ne avevo e staccai tre assegni per complessivi 15-20mila euro»). «Mi chiamò il Cavaliere - racconta - per dirmi che un direttore del gruppo Mondadori aveva un video che mi riguardava». Fu sempre Berlusconi, l'indomani, a dirgli che il video era stato sequestrato dai Ros e che tutto era andato bene. Troppo tardi per evitare lo scandalo. «Mi sono dovuto separare, poi mi sono dimesso dall'incarico di governatore ed era giusto fare così. E infine sono tornato a “non” fare il mio lavoro». Una vicenda dolorosa, «anche per colpa di una campagna mediatica micidiale». La droga? «Quando andarono via - dice - notai con la coda dell'occhio un piatto con della polvere bianca».

Però il giornalista dice di «non ricordare» i numerosi contatti telefonici con l'utenza riconducibile ad un tale che al Ros risultava essere il fornitore di stupefacenti di Brenda, il trans che morirà qualche mese più tardi in un misterioso incendio. «Ammetto le mie responsabilità - dice Marrazzo - ho avuto in passato sporadici incontri con trans e qualche volta c'è stato un consumo di cocaina in modica quantità che non portavo io».

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