Massimo beffato da quell'addio premeditatoil commento 2

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L'ultimo duello fra «zio Walter» e «zio Massimo», i Dioscuri del post-comunismo che hanno saputo portare la sinistra italiana tanto al trionfo quanto alla disfatta, è destinato a lasciare l'amaro in bocca a chi - come D'Alema, per esempio - coltiva il primato della politica ostinandosi a considerarla un'arte della ragione. La clamorosa decisione di Veltroni di non ricandidarsi esplode infatti nello stesso giorno in cui l'Unità pubblica un appello (a pagamento) di 700 esponenti della politica, dell'impresa e della società civile meridionale che indicano in D'Alema un «punto di riferimento» irrinunciabile. E l'effetto, sui giornali, è devastante: da una parte il nobile gesto di Walter, dall'altra l'ostinata resistenza di Massimo. Ma è così? Per ricostruire la vicenda occorre un passo indietro. Martedì scorso esce sulla Stampa un duro sfogo di D'Alema contro Renzi. In quell'occasione, il presidente del Copasir racconta di aver pensato seriamente a lasciare il Parlamento, ma di aver cambiato idea in seguito ai «violenti attacchi» del sindaco di Firenze. Renzi s'infuria, D'Alema smentisce, sui giornali escono commenti e interviste polemiche verso D'Alema. È a questo punto che nasce in Puglia l'idea di un manifesto di solidarietà: si comincia a stendere il testo, si raccolgono le firme. Domenica mattina Pubblico dà la notizia; nello stesso giorno - che per una curiosa coincidenza del destino è anche l'anniversario della fondazione del Pd - Bersani è alla pompa di benzina di Bettola per lanciare in grande stile la sua campagna per le primarie. E Veltroni è ospite di Fazio a Che tempo che fa. Il cortocircuito è immediato, la detonazione impressionante. Veltroni oscura completamente lo show di Bersani e spinge D'Alema nell'angolo. Perché, com'era prevedibile, subito tutti si chiedono che cosa farà l'ex presidente del Consiglio. Che aspetta altre ventiquattr'ore - dimenticando che il ciclo delle notizie è ormai ininterrotto, e non segue più i ritmi d'uscita dei quotidiani - per annunciare a sua volta che «posso candidarmi soltanto se il partito mi chiede di farlo». «La realtà viene prima della comunicazione», aveva spiegato proprio a Fabio Fazio, un paio di settimane fa, il segretario del Pd. Il che sarebbe anche ragionevole se la comunicazione non fosse, a sua volta, una solida realtà. Che può anche far male. Messo in croce da Renzi nei suoi comizi-spettacolo, D'Alema ha per dir così ceduto alla provocazione e, difendendosi non senza asprezza, è apparso come un conservatore avvitato alla poltrona. Poi, il colpo finale di Veltroni: «Non mi piace la rottamazione, ma lascio il Parlamento». E D'Alema costretto, il giorno dopo, a rincorrere: «La mia disposizione è a non candidarmi…». Così funziona la comunicazione. E la realtà? La realtà è che il Pd è davvero prossimo alla tabula rasa. «Sono stato difeso dagli attacchi di Renzi da rettori e sindaci: non dal partito, ma dagli elettori», ha detto ieri D'Alema. Che proprio al partito, però, affida la decisione ultima della sua ricandidatura. Il che significa che la patata bollente passa ora a Bersani: D'Alema si è stufato di combattere per un segretario che non lo difende, e per questo gli chiede di prendere posizione. E contro Bersani, naturalmente, è anche l'uscita di scena di Veltroni, programmata per strappare al segretario la prima pagina e per denunciarne il limite politico di fondo: l'ambiguità verso il governo Monti, il rifiuto di citarlo nella Carta d'intenti per compiacere Vendola, l'assenza di un rassicurante profilo riformista. Salvando se stesso con un coraggioso passo indietro, Veltroni anche lancia un messaggio inequivocabile ai suoi: rompete le righe, liberi tutti. E molti, se non tutti, già stanno con Renzi. È un finale di partita amaro, carico di sospetti e di intrighi, avvelenato da antipatie personali e rancori covati in silenzio per anni.

I ragazzi della Fgci cresciuti guardando Happy Days in tv - come un giorno li definì Nanni Moretti in un suo film - sono oggi signori di mezza età invecchiati forse troppo in fretta, additati al pubblico biasimo ben oltre i loro demeriti, insalutati ospiti di un partito in piena crisi di nervi. E la battaglia è appena cominciata.

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