RomaIl day after di Fini comincia con un lamento: «Espulso di fatto». E «senza la possibilità di esprimere le mie ragioni», aggiunge inconsolabile. E poco propenso a ricordare la sua storia politica. Già, perché quello stesso Fini che ieri ha sostenuto di esser stato vittima di unepurazione bella e buona, al termine di un processo sommario, ha mostrato in un passato non lontano di saper usare il pugno di ferro senza nemmeno mettersi il guanto di velluto. Ma forse lex presidente di An, stretto nel suo «ruolo istituzionale» da padrone di casa di Montecitorio, deve aver dimenticato in fretta il modo in cui si muoveva quando, nel suo partito, era lui a comandare. Nel segno di un leaderismo non esattamente incline alle critiche interne.
Per rinfrescargli la memoria non serve rispolverare gli archivi missini, la storia è molto più recente. Luglio 2005, Fini è democraticamente alla guida di An da un decennio, quando tre dei suoi colonnelli, Altero Matteoli, Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri, si concedono un colorito «diritto di critica» - per usare un termine caro al presidente della Camera - verso il «capo» mentre prendono un caffé. La Russa dice che Gianfranco era «malato». Matteoli che merita due schiaffi. Gasparri resta in silenzio ma non protesta. Lo sfogo privato viene ascoltato da un cronista e finisce sui giornali.
Fini legge tutto, poi prende il telefono e chiama i tre per un pacato chiarimento: «Vi farò sputare sangue», promette, chiedendo le dimissioni da ogni incarico. Invece arriva solo una lettera di scuse, nemmeno ospitata dal Foglio. Gaffes chiusa? Macché. Il leader lascia passare il week end e poi, a 72 ore di distanza, regola i conti con un bel blitz.
Niente uffici politici o probiviri. Fa piazza pulita tutto da solo: gli basta una nota («Determinazioni del presidente») per azzerare il partito, resettare tutto insomma, e far capire chi è che comanda, altro che «ghe pensi mi». Gli incarichi, ai «colonnelli», e a tutti i dirigenti, sono revocati, i coordinatori regionali sollevati dallincarico, lorganizzazione di An tolta a Matteoli e affidata seduta stante a un dirigente che allepoca non era nemmeno parlamentare (e che ora lo è, ma è rimasto nel Pdl).
Insomma, Fini come un carro armato cingolato rase al suolo ogni presenza scomoda nel partito, con la scusa di quelle chiacchiere da bar. Probabilmente è proprio il piacere del comando a mancargli, da quando si è lanciato nel progetto del partito unico voluto e pensato dal Cavaliere, e si è trovato senza più destriero, in sella a una poltrona prestigiosa, ma dalla quale non si comanda.
Memoria corta
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