Ministri Pdl subito dal leader: "Basta col ricatto dei giudici"

Alfano e gli altri membri di governo lasciano Palazzo Chigi per incontrare Berlusconi: "Allibiti e amareggiati". Gasparri ventila dimissioni di massa, poi prevale la linea soft

Il vicepremier Angelino Alfano a Palazzo Grazioli dopo la sentenza della Consulta
Il vicepremier Angelino Alfano a Palazzo Grazioli dopo la sentenza della Consulta

Roma - In fondo nessuno si aspettava una sentenza diversa. Troppo chiara la composizione del collegio della Corte. Qualche speranza c'era ma ridotta al lumicino. Tanto che Maurizio Gasparri, già nel primo pomeriggio, diceva assieme a Galan: «Siamo certi che non sarà possibile attraverso sentenze decretare la sua esclusione dal Parlamento. Tuttavia, di fronte a questa deprecabile eventualità non potremmo rimanere inerti nelle Aule ma saremo tra la gente con Berlusconi». Con l'aggiunta: «L'indignazione per un fatto tanto grave sarebbe generale e non potremmo rimanere inerti. Quindi non ho escluso iniziative eclatanti come le dimissioni di tutti i parlamentari del Pdl».
Nonostante un minuto dopo la sentenza, Berlusconi dirami una nota in cui conferma l'appoggio leale e convinto al governo, la notizia piomba come un macigno sul tavolo di Palazzo Chigi. Il vice premier Alfano e i ministri pidielli De Girolamo, Lorenzin, Lupi e Quagliariello lasciano il Palazzo: «È una decisione incredibile. Siamo allibiti, amareggiati e profondamente preoccupati. Ci rechiamo immediatamente dal presidente Berlusconi. La decisione - dicono congiuntamente - travolge ogni principio di leale collaborazione e sancisce la subalternità della politica all'ordine giudiziario». Ma anche Alfano aveva assicurato in precedenza: «Comunque vada non ci saranno dimissioni in massa».
Per l'ex ministro Gelmini, è andato «tutto come da copione. Anche se Berlusconi ha da tempo capito la straordinaria gravità della situazione italiana. Lui solo, assieme al capo dello Stato. E ha sotterrato l'ascia di una guerra che rischia di perdere il Paese. Ci sono gli irriducibili però, i giapponesi che non sanno, o ai quali non è stato detto, che la guerra è finita». Che fare, quindi? Michaela Biancofiore, berlusconissima, ora spera solo nella Cassazione ma avverte: «Sarò la prima a ricorrere alla Corte europea di giustizia dei diritti dell'uomo affinché anche a Berlusconi venga garantito un giusto processo».
È un fuoco di fila. Brunetta è tranchant: «Distinguere politica da giustizia oggi in Italia è virtù impossibile. Dinanzi all'assurdo, che documenta la resa pressoché universale delle istituzioni davanti allo strapotere dell'ingiustizia in toga, la tentazione sarebbe quella di chiedere al popolo sovrano di esprimersi e di far giustizia con il voto. Sarebbe legittimo, ma vorrebbe dire fare un passo indietro rispetto al cammino di pacificazione nazionale». Quindi niente strappi. Ma è logico aspettarsi che la sentenza abbia ripercussioni, se non sulla vita, sul percorso del governo. Verdini lo dice chiaro: ora la riforma della giustizia. «Bisogna velocizzare i giudizi e deve esserci parità tra accusa e difesa, poi eliminare la carcerazione preventiva. Non si può non mettere a posto la giustizia».
Il capogruppo pidiellino al Senato, Schifani conferma: «Ancora una volta Berlusconi conferma il suo profilo di statista, garantendo che non ci sarà alcun riflesso sul governo». Enrico Costa, deputato e avvocato, è allibito: «Repubblica nei giorni scorsi già lo sapeva e lo aveva scritto. Oggi abbiamo la conferma che le “fonti” erano informate e che tutto era già scritto.

Altro che decisione in Camera di Consiglio! Una Consulta contra personam che è arrivata al punto di sovvertire la sua giurisprudenza». Mentre Anna Maria Bernini, assieme a Daniele Capezzone, sintetizza: «È una persecuzione. Una decisione politica, partigiana. È uno scandalo, non solo contro Berlusconi, ma contro tutti gli italiani».

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