Hitchcock. Alfred Hitchcock. Quello de La finestra sul cortile e di La donna che visse due volte, naturalmente. Oppure i fratelli Coen, quelli di L'uomo che non c'era. Ci vorrebbe il loro genio, la loro capacità visionaria per raccontare la vita della donna che per dodici anni riuscì a farsi credere uomo, rubando l'identità al fratello. C'è la stessa atmosfera sospesa, la stessa suspense. La stessa capacità schizofrenica di vivere due vite in una di certi personaggi di Hitchcock o dei Coen, o forse anche di Pirandello.
Immaginate una lei di 38 anni, magra, gli zigomi ossuti, la voce aspra, i capelli corti, la bocca sottile. Il fisico l'aiuta. Lei ci aggiunge le note che mancano: una certa andatura, un modo di fumare, quel modo «macho» di tenere le mani in tasca. Per dodici anni -e ancora non sappiamo perché- va in giro come un qualsiasi Mario. Al cinema, allo stadio, al bar, con le donne(?), sul luogo di lavoro. Sì, anche in ditta ormai tutti sono convinti di avere a che fare con un operaio. Anzi, un «bravo» operaio, dicono tutti.
Girata a Chicago, a Minneapolis, con una protagonista di nome Doris, per esempio, una storia così farebbe un altro effetto, certo. Accade invece a Lissone, Brianza bassa, forse neppure Brianza, insomma la Lissone dei mobilifici e delle camerette per bambini. Cieli uggiosi, caldo afoso d'estate, freddo d'inverno, un'esposizione di mobili dopo l'altra, i neon delle vetrine che si riflettono sull'asfalto di queste serate che ormai calano all'improvviso, portandosi dietro un fiato umido e freddo. Poca gente in giro durante le ore di lavoro, qualche passante frettoloso in piazza, quando il campanile della chiesa batte le ore. In sottofondo, se serve una colonna sonora, partono le note di una canzone di Franco Battiato. Dice così, la canzone: «Certe notti per dormire mi metto a leggere e invece avrei bisogno di attimi di silenzio». Si intitola Un'altra vita, appunto. «Doris», la donna che volle farsi uomo, a Lissone è un volto fra i tanti. Casa, lavoro, un cinemino, il bar, le ferie. Tutto al maschile. La guardano, ma non ci trovano niente di strano. È una lei, ma chi osserva, chi saluta, chi si ferma a scambiare due chiacchiere vede un lui fatto e finito.
Comincia tutto nel 2000, quando Doris, chiamiamola così, aveva 26 anni. Che cosa l'abbia spinta ad assumere l'identità del fratello non sappiamo. Fuggiva da qualcosa, da qualcuno? Stava a disagio in quei panni femminili, e magari non ha mai avuto il coraggio di dirlo, di dirselo? In sottofondo, ancora le parole di Battiato: «Non servono tranquillanti o terapie. Ci vuole un'altra vita».
Un giorno Doris vede in casa una carta di identità del fratello. Se ne impossessa, cambia la foto, in fondo hanno quasi la stessa età. E poi lui sta in Puglia, si dice Doris; chi si accorgerà mai dello scambio di identità? Funziona. Funziona anche quando va a fare un colloquio di lavoro. Poi, un bel giorno, un banale controllo. C'è una multa intestata al fratello. È una multa non pagata. Sembra niente. E invece si innesca uno di quei meccanismi perversi in fondo ai quali ci sono due carabinieri. «Usurpazione di identità», è il titolo del reato.
Il finale non c'è. Ciascuno se lo immagini come vuole. Ma fate in modo che non faccia troppo male a Doris.
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