di Nei confronti dei giovani c'è ormai un atteggiamento stucchevole e spesso fastidioso. Chi può mai esserci che ha qualcosa da obiettare sulle difficoltà dei ragazzi nell'inserirsi oggi nel mondo del lavoro? Tutti sono (vanamente) affaccendati al loro capezzale di disoccupati cronici. E così sgorga copioso un pianto greco su una generazione allo sbando. Ma dopo tanti discorsi edificanti ed essersi asciugate le lacrime, in concreto, cosa si fa?
Per mia formazione culturale e per esperienza, so che meno ci si affida ad altri e meglio è. Soprattutto se questo «altri» è l'amministrazione pubblica nei suoi diversi livelli. Mi piace l'idea della Nestlé: molto pratica e semplice da realizzare proprio perché è un'impresa che non chiede denari allo Stato e perché non si evocano i giovani in generale, ma giovani immediatamente identificabili col nome e cognome. Il cognome è quello del padre.
Credo che di questi tempi, se mio figlio fosse grande in cerca di un impiego, farei qualunque cosa lecita per aiutarlo. Se potessi gli trasferirei volentieri la mia cattedra, come peraltro hanno fatto alcuni miei colleghi con (questo sì) un inaccettabile illecito mascherato da truffaldini concorsi pubblici nel rispetto apparente delle regole. Un illecito, ma si tiene famiglia: lo ha spiegato recentemente anche Bossi.
Adesso, però, la Nestlé offre un'opportunità molto interessante, senza la necessità di infrangere norme interne ed esterni statuti dei lavoratori. E i padri possono davvero dare qualcosa di concreto ai propri figli. Se il giovane non è riuscito a trovare niente di meglio, il genitore può fargli un discorso di questo tipo, molto vero e umile: «Per anni sono stato un impiegato della Nestlé; continuo ad avere il mio lavoro perché sono onesto e stimato, e anche per questo la dirigenza della multinazionale mi dà un'originale opportunità, quella di inserirti nell'azienda. Il periodo è difficile, per saperlo non è necessario essere dei bocconiani: questo comporta un sacrificio che faccio molto volentieri. Mi viene chiesto di rinunciare a una parte del mio tempo di lavoro, con conseguente riduzione della retribuzione, per darti la possibilità di venire impiegato nella mia stessa azienda. E io non mi sento di fare in realtà nessun sacrificio, sia perché mi accorgo quanto ti sia frustrante rimanere disoccupato, sia perché mi piace l'idea che tu possa lavorare grazie a me e, quasi, attraverso di me».
Certo, sarebbe meglio che il genitore potesse conservare il suo monte ore, sarebbe meglio che non gli fosse decurtato lo stipendio, sarebbe meglio che il giovane avesse un proprio lavoro... Insomma, tanti «sarebbe meglio».
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