Roma Della serie «Cerco un centro di gravità permanente». Montezemolo in fondo è solo l'ultimo arrivato. Anche lui vuole mettersi lì dove vogliono stare tutti: al centro. Lo ha detto chiaro Mr. Ferrari, alla convention di via Tiburtina: «Siamo un movimento (vietata la parola «partito», ndr) liberale, popolare, riformista». Bando anche alla parola «centro» perché «dobbiamo superare le categorie ideologiche che non esistono più come destra e sinistra». Anche se poi dice che si devono superare «i populismi di destra e sinistra». Ma è così, tanto per far capire che tra l'eskimo e il bomber è meglio il loden.
Gli ingredienti del piatto montezemoliano sono quelli che vanno di moda adesso, che tirano. Che hanno sempre tirato, per la verità. Un classico. Perché tutti sanno - Montezemolo in primis - che la maggioranza degli italiani è, e resta, moderata, nonostante gli spurghi grillini siano destinati a fare il botto elettorale. Montezemolo pigia tasti orecchiabili e orecchiati da tutti: basta con le risse, basta con il bipolarismo muscolare, con la burocrazia, con il troppo Stato, con le troppe tasse, la partitocrazia, gli sprechi, l'evasione, i furbetti. E porte aperte alla società civile. Come molti, come tutti. È montiano, sobrio, presentabile, laico e cattolico. In fondo democristiano. E di cattolicesimo ce n'è abbastanza tra i suoi anche perché senza benedizioni Oltretevere non si vince. C'è il ministro Riccardi, amicissimo del cardinal Bertone e fondatore della comunità Sant'Egidio, a dargli manforte. C'è il presidente delle Acli Andrea Olivero e il presidente della provincia di Trento, cattolico pure lui, Lorenzo Dellai; c'è il leader della Cisl Bonanni; ci sono miriadi di associazioni cattoliche che drizzano le orecchie, captano le parole «welfare» e «sussidiarietà» e applaudono. Tanti i docenti cattolici (Agostino Giovagnoli, Walter Ricciari, Maurizio Baradello).
Non c'è solo dottrina sociale della Chiesa ma anche tanto liberismo nel contenitore di Montezemolo. I critici lo tacciano di tardoberlusconismo; i suoi tifosi lo esaltano perché intriso di pragmatismo confindustriale. E sono ovazioni a lui e alla Tinagli (testa d'uovo montezemoliana assieme a Nicola Rossi e Carlo Calenda), quando predica i tagli agli incentivi per tagliare l'Irap; quando parla di fisco-patologia, di patrimoniale sullo Stato, di liberalizzazioni vere, di pressione fiscale al limite del tollerabile, di imposte sul lavoro incivili. Di fatto la rivoluzione liberale e incompiuta di Berlusconi. Ma guai a dire che è roba di destra. No, Montezemolo è di centro. È lì che pesca. È lì che si vince.
Ma Mr. Ferrari è in buona compagnia. A voler rifare un grande centro ci lavora da sempre Casini, erede naturale della Dc, che ieri lo ha abbracciato (forse per stritolarlo): «Parole condivisibili le sue. Siamo in sintonia ed è sempre positiva un'iniezione di concorrenza». Anche Casini, guarda un po', è aperto alla società civile e supermontiano. Idem Fini, ruotino di scorta di Pier, che dopo aver distrutto la destra cerca di riciclarsi pure al centro. Filocentristi anche tutti quelli del Pdl che fanno il tifo per il Monti bis: da Cicchitto a Gelmini, passando per Fitto e Frattini fino a Mario Mauro. E che dire delle truppe centriste del Pd? Tra i democratici tanti soffrono l'alleanza con Vendola: da Enrico Letta a Fioroni; da Gentiloni a Follini e i veltroniani.
E persino Renzi sguazza a meraviglia al centro. Tanto che a Pubblico, il suo uomo di Torino, Davide Gariglio, ha confessato: «Matteo non doveva neanche candidarsi alle primarie. Doveva uscire dal Pd e recuperare tutto lo spazio al centro. Ma ormai è andata così».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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