Monti corre con l'ok del Colle Il Pd strilla ma è pronto al sì

Il premier tira dritto: «Non accetto veti e il nostro scopo non è ricevere consensi» Domani tavolo finale: il testo andrà alle Camere senza firme delle parti sociali

Monti corre con l'ok del Colle Il Pd strilla ma è pronto al sì

Avanti senza accordo. Dopo estenuanti trattative per raggiungere un’intesa con le parti sociali il governo accelera. Con buona pace per eventuali cortei di protesta di Camusso & Co che avvisa: «Faremo di tutto per contrastare la riforma». La palla passa al Parlamento anche se, di fatto, la strada è in discesa: Bersani si prenderà la briga di far cadere il governo per mettersi di traverso sul welfare? Difficile. Certo, la riforma potrebbe essere annacquata a meno che... Anche su questo provvedimento non arrivi la fiducia. Ma è un’ipotesi prematura. «Decideremo con il capo dello Stato», dice Monti. Per ora si registra una giornata di dure trattative.

In mattinata c’era stato un incontro informale tra governo e parti sociali finito malissimo. Mentre sui contratti e gli ammortizzatori sociali s’è vista un po’ di luce, sull’articolo 18 restava il buio pesto. Da una parte, il governo non era disposto ad annacquare le norme sui licenziamenti, anche a fronte della minaccia della piazza; dall’altra, i sindacati non mettevano sul tavolo proposte alternative accettabili. Così, prima dell’apertura del tavolo ufficiale, alle 17, la fumata era nero-pece. D’altronde il premier non s’è dimostrato troppo sensibile al rischio di perdere la cosiddetta «pace sociale». Non solo: in Transatlantico in molti giuravano che Monti non avrebbe fatto le capriole per raggiungere un accordo per forza, anche perché «se qualcuno scende in piazza, il premier può essere contento - ammetteva un pidiellino -: all’estero può dire di aver fatto una riforma dura, quindi coi fiocchi». Dalla sua, Monti ha sentito forte l’appoggio del Colle che ha fatto opera di moral suasion: si badi all’interesse generale. Parole sulla stessa lunghezza d’onda di Palazzo Chigi che ha sempre chiesto di «rinunciare a qualcosa». Così, vista l’impossibilità di arrivare a una proposta con le firme in calce della Cgil, Monti ha potuto accelerare. Dopo i ringraziamenti di rito, la fretta: «Stringiamo, per favore...». Monti ha voluto mettere un punto. Con quel «il Parlamento resta l’interlocutore principale del governo», il premier ha sottolineato che i tempi della concertazione con le parti sociali erano finiti. Ora basta.

Il governo presenterà il suo progetto di riforma, andando a cercare il consenso tra i partiti. Uno strappo? Uno strappino: dall’incontro di ieri non uscirà un testo definitivo ma «un documento che farà da base di proposta che il governo presenterà successivamente alle Camere». Domani il testo finale che non sarà un prendere o lasciare, ma un’ulteriore base di discussione. Con una differenza: a questo punto gli interlocutori diretti non saranno più i sindacati e le imprese ma i partiti. Con i soliti tempi, come ricorda il ministro Fornero: «Entro venerdì verranno chiusi definitivamente i testi». E Monti conferma: «Abbiamo preso un impegno nei primi giorni dell’attività del governo di procedere alla riforma del mercato del lavoro entro fine marzo». E così sarà. Il premier si dice soddisfatto: «C’è il consenso di massima delle parti sociali» ma ammette: «c’è l’accordo sull’articolo 18 ma non della Cgil». Poi giura: «Affineremo il consenso nelle prossime 48 ore» ma avverte anche «che sull’articolo 18 la questione è chiusa».

Monti non è disposto a estenuanti trattative con le parti politiche, dopo aver discusso all’infinito con le parti sociali. «Nessuno può mettere veti», dice in serata ai giornalisti a cui spiega: «È cambiato il metodo: si valorizza l’apporto delle parti sociali ma... nulla di consociativo». Anche perché «il nostro scopo non è conseguire consenso ad ogni costo». Poi, la chiamata al Colle per informare il capo dello Stato. Ma ora? Tutto dipende da Bersani. Per lui è un momento duro: dovrà far digerire alla parte più radicale del partito una riforma antipopolare. Si spaccherà? A caldo il commento del segretario è duro: «Il tavolo è ancora aperto e l’obiettivo è: accordo». Poi avverte: «Se arriverà una riforma non condivisa ognuno si assumerà le proprie responsabilità».

Ma alla fine, seppur con il torcibudella, il Pd digerirà anche questa dopo la riforma delle pensioni. Con un una sorta di promessa, da parte del premier. Che, tradotta, potrebbe essere questa: «Ora ho infilato un dito negli occhi a voi, domani farò lo stesso con il Pdl».

E gli argomenti dove il Professore potrebbe far male non mancano: in primis la Rai, poi le frequenze tv. Questi i capitoli più spinosi per Berlusconi, arroccato sul «no». «No» alla riforma della governance della Rai subito e «no» a un commissariamento di viale Mazzini. Ma il Cavaliere ora teme il blitz.

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