nostro inviato a Rimini
Qualche goccia di speranza lasciata cadere dal signore della sobrietà nel mare della crisi e una luce magari flebile individuata alla fine del tunnel. Ma anche un elogio della grande coalizione che è inevitabile interpretare come un invito o forse una raccomandazione alla continuità della sua esperienza di governo. Mario Monti approda al Meeting di Rimini come ospite d'onore, come l'interlocutore tecnico chiamato a incarnare e dettare la tonalità dell'intera kermesse, desiderosa come sempre di rapportarsi con la politica sulle esperienze concrete, al di là dell'appartenenza e degli schieramenti.
Giorgio Vittadini lo presenta indicandolo come «un modello di un'Italia che rifiuta l'idea di essere condannata alla serie B». Un'investitura forte che sembra caricare il Professore di aspettative e costringerlo a muoversi - nel momento in cui per la prima volta dall'inizio del suo mandato a Palazzo Chigi si trova a fronteggiare un platea «aperta» - su un terreno verbale per lui inconsueto, quello della retorica popolare. È forse per questo che il premier ripone il testo scritto e si avventura in un discorso a braccio, abbandonandosi a una previsione: «Il momento non è tra i più facili della vita del Paese. Un anno fa la crisi era peggiore di oggi ma non ce ne rendevamo conto. Poi è venuta via la polvere del benessere, è accaduto qualcosa che ci ha fatto ragionare. Ma per molti aspetti vedo avvicinarsi l'uscita dalla crisi. Crisi sarebbe stato lasciare andare avanti le cose senza modificarle».
Il presidente del Consiglio accende poi i riflettori su quello che considera il miracolo politico del presente: l'esperimento anomalo dell'alleanza ABC. «Questo non è un momento di grande popolarità per le forze politiche. Ma noi abbiamo il miracolo quotidiano di forze politiche, soprattutto tre che negli ultimi anni avevano dedicato grande attenzione, tempo e risorse a combattersi. Non era facile prevedere che quelle stesse forze avrebbero avuto un soprassalto di responsabilità. Non era prevedibile che sarebbe stato possibile, anche se non sempre è facilissimo, ricondurre quelle forze politiche a prendere responsabilmente decisioni rinviate per decenni». Un elogio che sicuramente suonerà come musica alle orecchie dei centristi impegnati nell'operazione reclutamento in vista di un bis dell'attuale esperienza di governo. Monti, guardando retrospettivamente al bilancio dei risultati ottenuti, si assolve da ogni colpa. Ma ammette che sul fronte dello spread le aspettative erano superiori. «Mai abbiamo pensato che le riforme fatte con intensità in questi mesi, lavoro, pensioni, spending review, liberalizzazioni, facessero partire immediatamente la crescita. Quello che invece speravamo era che l'insieme di queste riforme desse luogo a una riduzione dei tassi di interesse più rapidamente di come sta avvenendo. Ma per questo evidentemente ci vuole più tempo». Nella sua mente, però, c'è l'idea di tornare a fare indossare all'Italia l'abito della rispettabilità. «Spero che quando tra un po' di tempo si guarderà al lavoro che il governo con il Parlamento e la società italiana ha fatto, si possa vedere non solo il fatto che il nostro Paese non sia scivolato a Sud-Est (con riferimento alla Grecia, ndr) ma anche perché sono stati messi semi per rendere la società italiana più normale, più guardabile in faccia e ispiratrice di fiducia».
L'ultimo passaggio è sul ruolo di indirizzo delle élite europee e sulla necessità di guidare i popoli e proteggerli dalle derive populiste e da quello che definisce con vocabolo inglese lo «short-termism», ovvero la visione a breve termine. «Mi chiedo: cosa sarebbe successo se il grande lavoro di De Gasperi e Schuman che portò appunto alla famosa Dichiarazione Schuman che propugnava la messa in comune delle risorse europee fosse stata sottoposta a referendum a così pochi anni dalla fine della guerra?».
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