Monti frena e chiede scusa ai partiti

Monti frena e chiede scusa ai partiti

RomaIl montismo non esiste. Non c’è una dottrina politica che strizza l’occhio all’anti politica dall’alto di compentenze tecniche sopra la media e sondaggi favorevoli. Anzi, lo stesso Mario Monti assicura che se l’Italia si sta rinnovando è anche grazie ai partiti e alla maturità dei cittadini. La correzione di rotta del premier è arrivata ieri dal Giappone, con una lettera al Corsera e da successive dichiarazioni in Cina, nuova tappa della missione asiatica. La bufera sull’attacco ai partiti («noi abbiamo il consenso, loro no») di giovedì per il premier è il frutto di un fraintendimento.
L’obiettivo era opposto a quello che è emerso nei media. Anche perché è vero il contrario: «Se da qualche mese l’Italia ha imboccato risolutamente la via delle riforme, lo si deve in parte al governo, ma in larga parte al senso di responsabilità delle forze politiche che, pure caratterizzate da forti divergenze programmatiche, hanno saputo dare priorità, in una fase di emergenza, all’interesse generale del Paese. E lo si deve anche alla grande maturità degli italiani, che hanno mostrato di comprendere che vale la pena di sopportare sacrifici rilevanti, purché distribuiti con equità, per evitare il declino dell’Italia o, peggio, una sorte simile a quella della Grecia».
Tutto chiarito, assicurano i leader politici. «La lettera è positiva, ma non ne sentivo il bisogno», ha assicurato Pier Luigi Bersani, segretario del Pd. Per il leader Udc Pier Ferdinando Casini: «Oggi Monti ha chiarito: se il suo governo è riuscito a fare quello che ha fatto finora lo deve alla politica e non allo spirito santo». La lettera fa chiarezza delle incomprensioni». Lo sforzo dei partiti «è un dato di fatto», rivendica Maurizio Gasparri, presidente dei senatori Pdl.
Stizza di partiti che non hanno fatto mai venire meno l’appoggio al governo tecnico. Ma anche un riconoscimento del fatto che il cambio di passo c’è stato. Magari sarà a tempo e tra qualche giorno l’esecutivo Monti metterà il turbo per approvare quelle riforme che anche ieri il premier ha ribadito essere molto attese dalla comunità internazionale. E persino dagli investitori cinesi, spaventati dall’eccessiva rigidità del mercato italiano.
Ma ieri sono prevalsi gli «avanti adagio» e i toni concilianti. Su pensioni, articolo 18 e anche sulla giustizia. Forse per le pressioni della maggioranza, quelle meno evidenti, ma ancora fortissime dei sindacati. Oppure quelle istituzionali, ad esempio le esternazioni a tutto campo del capo dello Stato di questi giorni.
Oppure i timori di chi conosce i mercati e comincia a percepire che nessun Paese dell’Europa del sud è al sicuro. Il fatto è che il governo ieri ha dato almeno altri due segnali che vanno nella stessa direzione della lettera di Monti.
Il ministro del Lavoro Elsa Fornero che in questo momento ha il dossier più spinoso, quello della riforma del lavoro, ieri ha aperto sull’ultimo capitolo della riforma previdenziale ancora in fieri, quello dei cosiddetti esodati. Cioè i lavoratori che sono usciti dalle aziende con un incentivo in vista della pensione prima che i requisiti fossero inaspriti. «Abbiamo fatto una riforma delle pensioni seria e severa. Gli esodati sono uno dei problemi, me ne faccio carico, non li ho dimenticati. Sono di più dei conti che abbiamo fatto. Troveremo una soluzione equa». Il problema è proprio quello del numero. Dai 50mila iniziali, si è passati a 65mila. Nei giorni scorsi, il Pd e i sindacati hanno spinto la soglia fino ai 350mila. Il ministro non ha detto se accetta questa versione, ma un allargamento della platea si. E anche sull’articolo 18 ha usato toni morbidi. «Vorrei farvi cambiare idea e portarvi sulle mie posizioni», ha detto al congresso dell’Ugl (dove è arrivata dopo un giallo sulla sua presenza, accolta dall’applauso dei delegati). «Nessuno - ha assicurato - vuole dare all’impresa licenza di licenziare. Il problema è dare una maggiore facilità alle imprese nell’aggiustamento di manodopera, per numeri piccoli e non per numeri grandi, per ragioni che hanno a che vedere con l’andamento economico dell’impresa». Parole che non stonano con le indiscrezioni di ieri su un ammorbidimento della riforma nel testo definitivo, magari concedendo più poteri al giudice sui licenziamenti per motivi economici e facendo valere le nuove regole solo per le assunzioni post riforma.
Aperture, soprattutto di metodo, sulla giustizia.

Il ministro Paola Severino ha spiegato che le riforme su questo tema saranno condivise, mai «a colpi di emendamenti perché non giova a nessuno». Un messaggio ai partiti e una risposta anche a Napolitano che ieri aveva fatto un appello in questo senso.

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