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Monti a Kiev non canta l'inno Poteva pure restare a casa

Il premier ha voluto es­sere a Kiev per la finale degli azzurri agli Europei, pur essendo notoria­mente allergico al pallone. Seduto vicino a Mi­chel Platini, presidente dell’Uefa, il Prof ha ascoltato l’inno senza cantarlo. Per salvare la faccia si è inventato una visita a Yulia Tymoshenko

Monti a Kiev non canta l'inno Poteva pure restare a casa

Roma - La gioia non si addice a Ma­rio Monti. Il premier ha voluto es­sere a Kiev pur essendo notoria­mente allergico al pallone, e qui giunto non ha dovuto nemmeno indossare il sorriso trionfale porta­to per l’occasione. Chi era curioso di conoscere la versione esultante del professore dovrà aspettare un’altra occasione. E per il poveri­no la sentenza sui social network è già scritta: porta sfiga. Una con­danna che Monti si è anche anda­to un po’ a cercare senza ribellarsi al suo destino. Seduto vicino a Mi­chel Platini, presidente dell’Uefa, il Prof ha ascoltato l’inno senza cantarlo, ma muo­vendo un po’ la bocca tanto per, poi ha assistito al­la disfatta degli az­zurri con l’aria cu­pa del prozio invi­tato al battesimo del nipotino che ri­mugina su chi glie­lo ha fatto fare e su quanto gli è costa­to il regalo.

Il medagliere di Euro 2012 è que­sto: alla Spagna l’oro,all’Italia l’ar­gento, agli espo­nenti del governo italico il bronzo delle loro facce. Perché se avesse­ro avuto mezzo et­to della coerenza mostrata nei due anni da ct da Cesa­re Prandelli, Mon­ti e il suo ministro Piero Gnudi allo stadio Olimpico di Kiev non avrebbe­ro dovuto mettere piede. Monti è l’uomo che al termi­ne­ del match con la Spagna ha ac­cettato in dono la maglia di Balo­telli, ma è lo stesso che il 29 mag­gio, dopo gli arresti di calciatori in­vischiati nel calcioscommesse, propose uno stop al calcio di due o tre anni, confessando di trovare «inammissibile che vengano usa­ti soldi p­ubblici per ripianare i de­biti delle società » e meritandosi la piccata replica del presidente del­la Figc Giancarlo Abete: «Il calcio professionistico non riceve un eu­ro di fondi pubblici». Monti, che nel suo smunto curriculum di tifo­so vanta solo una tiepida militan­za milanista nella immaginiamo turbinosa giovinezza, è sempre quello che il 15 giugno, per dimo­strare il suo sovrano disprezzo per le sorti azzurre, non si preoccupò di sovrapporre il vertice bilaterale con il presidente francese Franço­is Hollande alla partita Italia- Cro­azia e si infastidì non poco al som­messo boato de­i giornalisti alla no­tizia del gol di Pirlo che interruppe per pochi secondi la successiva conferenza stampa, porgendo im­barazzate scuse all’inquilino del­l’Eliseo. Monti è di nuovo quello di cui la ministra Elsa Fornero alla vigilia di Italia-Germania disse che non sapeva per chi avrebbe ti­fato. Una battuta. Forse.

E Gnudi? Anche il ministro del Turismo e dello Sport avrebbe fat­to miglior figura a restare a Roma. L’11 giugno visitando il quartier generale degli azzurri a Cracovia, valutando l’improbabilità di una controprova, fece il duro e puro: «Chi offende la democrazia, offen­de i cittadini», disse a proposito del governo ucraino che tiene in galera l’ex primo ministro Yulia Tymoshenko. E quindi scolpì nel marmo delle agenzie queste im­provvide parole: «Quanto alla par­tecipazione alle partite che l’Italia potrebbe giocare in Ucrai­na, io sono in­tenzionato a rinunciare». Ops. Del resto Gnudi avrebbe preferito evitare questa patata bollente. Lo si arguisce da una lettura psicana­liticamente piuttosto elementare di una sua dichiarazione-lapsus ri­lasciata alle televisioni alla vigilia della semifinale con la Germania: «Stiamo facendo un bellissimo eu­ropeo e sono sicuro che stasera lo concluderemo nel migliore dei modi». Concluderemo? Ariops. In attesa all’ultima fermata del carro dei vincitori poi soppresso, Monti e Gnudi hanno smentito lo­ro stessi e sono saliti su quel­l’aereo per Kiev. Mal glie­ne incolse: hanno do­vuto parlare di «ma­gnifica avventura» e di un secondo po­sto «che all’inizio avremmo sotto­scritto al buio». Poi certo, c’era da salvare un po’ la fac­cia.

Così Monti ha esco­gitato un viaggio lampo (come se le gaffe si misurassero con l’orologio) e soprattutto si è in­ventato con il collega spagnolo Mariano Rajoy una lettera al presi­dente ucraino, Viktor Yanukovi­ch, per trasmettere«il continuo so­stegno sia dell’Italia che della Spa­gna alle aspirazioni europee del­l’Ucraina» con tanto di richiesta di «visitare la signora Tymo­shenko». Dopo la partita, il Prof ha spiegato che «non c’era ragione per non venire a Kiev: è stata l’oc­casione per richiamare l’Ucraina a doveri di civiltà». Per non sem­brar troppo maleducati, Monti e Rajoy hanno ringraziato nella lo­ro missiva «il popolo ucraino per la calorosa accoglienza riservata alle nazionali e ai tifosi».

Per fortu­na oggi si va da Napolitano.

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