O con Monti o con i «traditori» , «quei pochi che, ottenuto il loro seggio in Parlamento o al governo con il nostro simbolo (che allora, anche per loro insistenza, recava il mio nome), oggi vogliono superare Scelta Civica» e fare un nuovo partito popolare con altri pezzi di ex Dc (Casini ma ora soprattutto Mauro, che è di Scelta civica). Da leader dimissionario, impegnato in Bocconi per l'inaugurazione dell'anno accademico, Mario Monti indica la linea al partito che si riunisce, in serata, in un direttivo blindato e a nervi tesi, per riportare ordine nel caos. E il «consiglio» di Monti è chiaro: isolare i traditori, stanarli, costringerli (il ministro Mauro per primo) a scegliere se stare in Sc, alle condizioni dei montiani, oppure andarsene, fare il gruppo I Popolari in Parlamento con l'Udc e arrivederci.
Il documento messo ai voti nel comitato direttivo (dove i montiani, su 12 votanti, sono in maggioranza risicata) punta l'indice proprio sull'Udc, specificando che quella non può essere la linea del partito. Un braccio di ferro, teleguidato da Monti, per contarsi e fare chiarezza. Un preludio, spiegano i montiani, anche per un ritorno del Prof alla guida del partito, una volta depurato dagli infiltrati di Casini e dai tentatori come Mario Mauro, di cui Monti vuole la testa. «Il mio sostegno a Scelta Civica non verrà meno» scrive l'ex premier a chiusa della lettera al suo successore, l'imprenditore Bombassei, presidente provvisorio di Scelta civica dopo l'addio (arrivederci?) di Monti. Subito dopo l'invito, prima di riunirsi nel direttivo, ad un reazione civile, certo, ma forte», di fronte al sabotaggio di Mauro&Casini. In altre parole: fateli fuori, e poi magari torno (come gli chiedono i parlamentari rimasti fedeli).
Se la scissione con i dieci parlamentari Udc (due senatori e otto deputati) è questione di ore - oggi c'è un'assemblea degli eletti, domani quella dei gruppi - più complesso è il quadro che riguarda i montiani dissidenti. A iniziare proprio da Mario Mauro, assente dal direttivo per impegni a Bruxelles. Il ministro non punta diritto alla creazione di un nuovo gruppo parlamentare, perché se al Senato i fuoriusciti sarebbero la maggioranza di Sc (che resterebbe in 8 e finirebbe nel Misto), alla Camera è il contrario, e sarebbero Mauro&Co a rischiare di finire nel Misto (servono 20 deputati alla Camera per fare un gruppo). Perciò l'appello del ministro - anche lui una lettera a Bombassei - per prendere tempo e rimandare la resa dei conti ad un congresso: «Rivendico l'idea che Scelta civica debba evolvere verso un soggetto più maturo, verso un centro popolare liberale inserito nel Ppe. Per questo non mi sembra opportuno che si cacci dai nostri gruppi parlamentari un partito che ne fa parte in modo inequivoco», cioè appunto l'Udc.
Le condizioni degli scissionisti sono state fissate in una riunione lunedì sera, quindici parlamentari tra cui Mauro ma anche Olivero, componente del comitato direttivo, molto in bilico. La condizione più importante, per restare in Sc, è che non si caccino Mauro e i parlamentari Udc. Condizione giudicata «troppo onerosa» dai montiani, pronti alla scissione. «Non umilierei l'Italia con polemiche di basso profilo» commenta Mauro quando glielo riferiscono. Come parole di pace, andiamo male. Ma tra i montiani puri e gli scissionisti, già ribattezzati Popolari, c'è una zona grigia fatta di indecisi, spiazzati sia dallo strappo Udc, sia dalla reazione veemente di Monti, e che puntano alla mediazione tra i due estremi. Tra questi c'è la vicepresidente di Sc, l'ex piddina Maria Paola Merloni, una delle firmatarie della «sfiducia» a Monti. La senatrice si è dimessa dalla vicepresidenza (ma resta senatrice e nel partito), per prendere le distanze dalla rissa dentro il partito.
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