Affonda Prodi, si dimette Bersani (dimissioni congelate sino all'elezione del capo dello Stato), il Pd è nel caos totale. «Un disastro assoluto», dice il tesoriere Misiani. «Un suicidio in diretta, il Pd è finito», dice Michele Meta. «Stiamo celebrando un congresso en plein air, ma è senza via d'uscita», dice Roberto Morassut.
Blindato con Letta, Franceschini, Anna Finocchiaro, i capigruppo in un ufficio della «Corea» - il corridoio dietro l'aula di Montecitorio in cui si è appena consumato il dramma dell'impallinamento in volo del fondatore dell'Ulivo - Pier Luigi Bersani accusa («Tra di voi uno su quattro mi ha tradito») e tenta di mettersi in contatto con Romano Prodi, in volo dall'Africa a Parigi e pronto ad approdare oggi a Roma per farsi incoronare. Invece, il segretario del Pd ha l'ingrato compito di spiegargli che 100 ignoti cecchini, un quarto del centrosinistra, ha appena affossato la candidatura del salvatore della patria. E di chiedergli se è disposto a lasciarla in pista anche per un secondo giro, stamattina. «Ma stavolta dobbiamo blindare il voto professionalmente», dice Matteo Orfini. Come? «Ogni corrente dovrebbe firmare il suo voto, come ha fatto oggi Sel - spiega Roberta Pinotti - votando Prodi con una formula diversa, concordata prima». Ma il Professore è furioso, si sente «tradito per la terza volta dal Pd» e di certo «non si fida di quel partito», dice uno dei suoi. «Non ho capito cosa vuole fare», ammette Bersani dopo la prima telefonata. Ma piomba nel Transatlantico semibuio, dove i parlamentari Pd sono in attesa di essere convocati in assemblea, il comunicato di fuoco con cui l'ex premier, che vede sfumare il sogno della vita, maledice il Pd e il suo segretario: «Chi mi ha portato a questa decisione deve farsi carico delle sue responsabilità». Poi fa sapere che non ce l'aveva col segretario, ma con «chi ha armato la mano dei killer», nella sua testa D'Alema e gli ex Popolari orfani di Marini. Ma per Bersani sono ore terribili, la richiesta di dimissioni è sempre meno nascosta: «Ormai questo è un gruppo dirigente destituito di ogni autorità, va cambiato al più presto», dice Orfini. Si dimette intanto la presidente prodiana Rosy Bindi: «Da che?», chiede candido Gianni Cuperlo. «Da quel che è rimasto», replica un compagno di partito. Per il Pd è un terremoto, e tutti si interrogano sui «mandanti» di quella che appare come «una operazione studiata a tavolino, anche se non se ne capisce l'obiettivo», dice Andrea Orlando.
Ma nella totale balcanizzazione del partito, ogni repubblica interna indica un colpevole diverso. Gli ex Ds accusano i renziani: «Sono stati loro». Per i renziani è una trappola, e il sindaco di Firenze si infuria. Sel si è tirata fuori dal tritacarne: «Stamattina abbiamo capito che qualcuno stava preparando una trappola contro di noi, diffondendo la voce che nel segreto dell'urna non avremmo votato Prodi - spiega Loredana De Petris - e abbiamo firmato i nostri voti: R.Prodi. Il Pd è impazzito, dobbiamo lasciarli al loro destino». Prodi non ci sta, «resta l'ultima ratio: Giorgio Napolitano», dice Stefano Fassina. A tarda sera la voce è che sia stato lo stesso Napolitano, rifiutando per l'ennesima volta di farsi rieleggere, ad indicare la carta Giuliano Amato, su cui convergere con il Pdl.
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