Milano - Nella giornata che vede la Regione Lombardia fare i conti con i postumi devastanti della retata antimafia che ha portato in cella l'assessore Pdl Domenico Zambetti, il bilancio giudiziario personale di Roberto Formigoni è di difficile classificazione: nel senso che valutare se il bicchiere sia mezzovuoto o mezzopieno è questione di punti di vista. In sostanza: Formigoni viene condannato per avere diffamato il Partito radicale sulla vicenda delle firme Pdl false per le elezioni 2010, e questa per il governatore è oggettivamente una sconfitta; ma il giudice rifiuta la condanna ad un anno di carcere chiesta della Procura per l'imputato, e si limita ad una ammenda di 900 euro e a un ricco risarcimento a favore dei radicali. Quasi in contemporanea - ed è forse la notizia migliore per Formigoni - un giudice respinge la richiesta di tenere ancora in galera i suoi amici Antonio Simone e Piero Daccò, presunti complici nelle tangenti sulla sanità lombarda. Daccò resta in carcere, Simone dovrebbe uscire domani. È la prima volta che la «linea dura» della Procura sul fronte Formigoni subisce una battuta d'arresto.
Il processo per il litigio con i radicali va a sentenza alle 14,30 di pomeriggio. All'udienza precedente, il pm Marcello Tatangelo aveva chiesto la condanna di Formigoni per diffamazione a mezzo stampa, aggravata dall'attribuzione di un fatto determinato: un anno di carcere, esempio della pena detentiva che - dopo il «caso Sallusti» - il Parlamento vuole abolire per questo tipo di reati. Formigoni era stato querelato dai radicali per le sue dichiarazioni dopo che il partito di Pannella aveva denunciato l'esistenza di un congruo numero di firme false a sostegno delle liste Pdl per le ultime elezioni regionali. In conferenza stampa e interviste, Formigoni aveva accusato i radicali di «complotto», «sono stati lasciati per ore in una stanza con i certificati elettorali, cinquantuno sono spariti». Nel frattempo, le indagini della Procura hanno accertato che in realtà molte firme erano effettivamente apocrife. Di questo, Formigoni non deve rispondere, ma delle accuse infondate ai radicali sì. Ed ecco la sentenza: niente carcere, 900 euro di multa, e centomila euro (ma non da pagare subito) di risarcimento ai «diffamati», di cui 50mila direttamente a Marco Pannella. «È la prima volta che un tribunale prevede di mettere becco nelle polemiche tra politici, ma evidentemente quando c'è di mezzo Formigoni si cambiano anche le regole», commenta il presidente della Lombardia.
Che però vede riscattata almeno in parte la sua amarezza nel pomeriggio, quando il giudice preliminare Vincenzo Tutinelli deposita la sua decisione sulla richiesta della Procura di tenere in carcere per altri tre mesi Daccò e Simone.
Rimpasti e scarcerazioni: il giorno più lungo del Celeste
Prima la condanna per diffamazione e il risarcimento da versare ai radicali. Poi la decisione del Gip: Simone torna libero. Formigoni non lascia e la Lombardia non crolla
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