«Il precipitare della grave questione costituita dai comportamenti sempre più abnormi e inquietanti del presidente della Repubblica non è che l'ultimo anello della spirale involutiva che sta stringendo il Paese». A scrivere queste dure parole contro il Quirinale è Giorgio Napolitano, nel 1991, sulla Repubblica diretta da Eugenio Scalfari. Proprio l'attuale capo dello Stato, ora nel mirino dell'opposizione (M5S, Lega e Forza Italia) per il suo eccessivo ruolo politico (un presidenzialismo di fatto, quasi «una monarchia» per i più critici), mise sotto accusa, da leader della componente «migliorista» Pds, l'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, con rilievi molto simili a quelli che Napolitano oggi respinge come attacchi irresponsabili e ingiuriosi.
Distinguendosi dalla linea ufficiale del Pds, che coi suoi gruppi parlamentari firmò una richiesta di impeachment (poi non concretizzata) per Cossiga, l'ala di Napolitano - anche lui deputato Pds - prese una posizione più prudente, ma altrettanto severa con il Colle. Un invito a «dimettersi» per l'inquilino del Colle (colpevole di aver «totalmente smarrito il senso della misura»), senza costringere il Parlamento ad attivare la messa in stato di accusa del capo dello Stato prevista dalla Costituzione. Un passo indietro inevitabile, secondo Napolitano, vista «l'incompatibilità tra l'aggressivo ruolo politico di parte assunto dal presidente Cossiga e la funzione attribuita dalla Costituzione al presidente della Repubblica, tra un esercizio esorbitante dei poteri presidenziali e la permanenza in quella carica». Insomma, come spiegheranno in una nota comune i parlamentari miglioristi: «Francesco Cossiga tragga le conseguenze dalla scelta da lui già compiuta di assumere un ruolo politico incompatibile con la funzione di presidente della Repubblica».
Cossiga, il «picconatore», rispose per le rime a tutti, compresa la corrente di Napolitano, definiti «politici vegetariani» perché, chiedendo le dimissioni senza mettere la faccia sull'impeachment, non erano «né carne né pesce». Ancora più violento l'attacco di Cossiga a Repubblica, che appoggiava la linea Pds e ospitò gli interventi di Napolitano sulle «inevitabili dimissioni» di Cossiga. Proprio in risposta all'articolo di Napolitano, Cossiga scrisse che Repubblica si dimostrava «la newsletter di una lobby politico affaristica responsabile di una pericolosa intossicazione della vita politica italiana». Un mese dopo, come ricostruisce Marco Travaglio in Viva il Re! (Chiarelettere), Napolitano si allinea alla posizione del Pds, che prevede tre vie d'uscita dal caso Cossiga: impeachment, dimissioni, astensione del presidente della Repubblica da «interventi impropri». Non servirà fare molto, perché Cossiga si dimetterà poco dopo, due mesi prima della scadenza naturale del settennato. Con la soddisfazione di Napolitano, candidato del Pds al Quirinale, che però toccherà a Oscar Luigi Scalfaro. Nonostante lo scontro duro sulle sue dimissioni, Cossiga manterrà un buon rapporto con Napolitano negli anni successivi. Al punto che sarà proprio lui a «raccomandare» Alfano a Napolitano come ministro della Giustizia nel 2008, come ci rivela il cossighiano Naccarato: «Nell'aprile 2008, quando Berlusconi cercava affannosamente un Guardasigilli, Alfano chiese a Cossiga di essere ricevuto. Venne, Cossiga lo ascoltò a lungo, lo studiò.
E il giorno dopo chiamò Napolitano, chiedendogli il favore di ricevere Alfano, raccomandandoglielo. Gli disse anche: Vedrai che questo giovane potrà porre fine alla leadership di Berlusconi. Bè, pochi giorni dopo Napolitano firmò la nomina del ministro Alfano».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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