Roma - Tutti attendono Berlusconi: elettori, militanti ma soprattutto i parlamentari che dovrebbero accoglierlo oggi nella nuova sede di piazza San Lorenzo in Lucina. Vogliono che il leader dia la linea; che faccia chiarezza; che faccia pure pulizia negli ingranaggi ossidati del partito. Vecchie ruggini che persistono anche quando tutto dovrebbe cambiare. In queste ore albeggia Forza Italia ma il tramonto del Pdl porta con sé livori antichi.
Non è soltanto la spaccatura tra falchi e colombe, tra moderati e radicali, tra filogovernativi e filournisti. È tutto un ribollire di inimicizie e invidie reciproche. Il caso del senatore nonché sottosegretario alle Politiche agricole Giuseppe Castiglione, non è affatto chiuso. Anzi, proprio la sua gaffe ha scoperchiato un pentolone di polemiche. Castiglione aveva prima ammesso l'esistenza di una fronda pidiellina, pronta a tradire il Cavaliere, qualora avesse deciso di staccare la spina al governo Letta. Assieme a lui, aveva ingenuamente confidato a un cronista di Piazza Pulita, «tre sono molto vicini a me... Sono della cosa... C'è il mio gruppo: Mario Torrisi, Vincenzo Gibiino e Pippo Pagano. Ma poi ce ne sono altri, si apre una fronda... Tre, quattro? Siamo assai...». Gli altri, eletti in Sicilia, sono Francesco Scoma, Bruno Mancuso, Marcello Gualdani. I quali, però, hanno giurato di garantire e ribadire piena e incondizionata fiducia in Berlusconi. Castiglione in primis che, dopo una lavata di capo da parte di Angelino Alfano - suo sponsor - ha fatto dietrofront: «Sono un lealista». Storia chiusa? Neanche per idea. Anche perché lo scivolone di Castiglione non nasce oggi.
Un big del Pdl siculo come l'ex ministro Stefania Prestigiacomo, forzista fin dal '94, in fondo aveva lanciato l'allarme già nel giorno del compleanno di Berlusconi un anno fa. 29 settembre 2012, Prestigiacomo tuonò: «Basta, me ne vado. Sono disgustata dal Pdl. Con Berlusconi i rapporti sono ottimi ma del sogno berlusconiano in questo partito non c'è più traccia. Siamo circondati da piccoli gruppi di potere che passano le giornate a litigare». In molti le chiesero di non sbattere la porta e l'ex ministro rincasò. Con chi ce l'aveva? Proprio con Castiglione, reo di aver fatto terra bruciata in Sicilia, di «aver disperso quello che era un granaio di voti berlusconiani; di aver indebolito il partito alimentando faide intestine». Oggi Prestigiacomo va giù dura: «Castiglione si deve dimettere». Antiche acredini regionali s'intrecciano nella frattura falchi-colombe e nella più complessa partita per il controllo di Forza Italia. Semplificando all'osso, il caso Sicilia si può tradurre in un «colombe Alfano-Schifani-Castiglione vs falchi Miccichè-Prestigiacomo-Verdini-Santanchè».
Un partito in ebollizione specie in vista del nuovo organigramma della rinascente Forza Italia. Giurano che ormai le redini del partito siano nelle mani salde di Verdini e i suoi. Qualche nome di peso: il giovane Luca D'Alessandro, l'ex scajoliano Ignazio Abrignani, il neo uomo-macchina Gregorio Fontana, lo stakanovista Daniele Capezzone e naturalmente la fedelissima Daniela Santanchè. In seconda fila i «ministeriali» Angelino Alfano, Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello.
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