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Noi, settecento italiani in fuga per aprire aziende in Svizzera

Un giorno a Chiasso con gli imprenditori attirati dal regime fiscale del Ticino, che prevede imposte al 17,1% e Iva all'8%. Con una sola avvertenza: le paghe minime non si toccano

Noi, settecento italiani in fuga per aprire aziende in Svizzera

Il miraggio della Svizzera ha l'aspetto di un teatro di epoca fascista stipato di imprenditori italiani (o dei loro commercialisti di fiducia) che non ne possono più di tasse, burocrazia, giustizia lenta e incerta. Chiasso sembra l'eldorado: si trova appena oltre il confine, le istituzioni parlano italiano, il carico fiscale medio per un imprenditore è del 17,1 per cento, l'Iva è ferma all'8, bastano 15 giorni per l'iscrizione al Registro del commercio e 24 ore per immatricolare un veicolo. Chi assume personale del luogo ha rimborsati per due anni gli oneri sociali e un quarto degli investimenti in settori innovativi gode di contributi a fondo perduto. I più fortunati possono ottenere, per qualche anno, l'esenzione totale dalle tasse.

Il comune di Chiasso ha organizzato una giornata per spiegare tutto questo eden. Si aspettavano 200 domande di iscrizione: ne sono arrivate 682 e ieri ne sono state selezionate 168, con 220 persone invitate soprattutto di Como e Varese ma anche dal Piemonte e perfino da Ancona. C'è di tutto, dal manager in doppiopetto all'artigiano tatuato in jeans e maglietta. Chi non ha trovato posto è stato indirizzato all'Ente regionale di sviluppo del Mendrisiotto.

«Voglio curiosare, vedere, sentire», dice Daniele Castelli, titolare di una ditta di trasporti e logistica comasca. «Mi attirano le poche tasse e la minore burocrazia. I nostri lavoratori? Prima di decidere se trasferirci li sentiremo». Andrea Caretti, professionista torinese, rappresenta alcune aziende tra cui un produttore di acqua minerale del Cuneese. «Pensano di fabbricarsi le bottiglie in plastica senza più comprarle da altri fornitori - spiega - e vogliono capire se conviene farlo in Svizzera dove si apre un'attività in poche settimane. Non abbiamo ancora deciso». Un altro consulente torinese, Stefano Ridolfi, ha clienti che vogliono scappare dall'Italia: «Fuggono dal fisco e dall'incertezza delle regole. Non vogliono più essere in balìa del funzionario di turno, di un sistema impositivo insopportabile, di adempimenti sempre più pesanti».

A Chiasso non sono arrivate aziende moribonde ma ditte solide, imprenditori pieni di speranza, che cercano un futuro certo per i dipendenti e magari per i figli, esasperati dalle difficoltà che incontrano in patria. Giuseppe Cagiano lavora il marmo a Carugo (Como), un'ora d'auto da Chiasso. «Siamo sei: io, mia moglie, due figli e due operai. Prenderò un pulmino e guideremo un giorno a turno, io i dipendenti non li abbandono, mica siamo la Telecom. Sono stufo di prendere soltanto calci nel sedere dal fisco. Porto via l'azienda, non la famiglia: lasciare il mio Paese è come togliermi una costola e voglio essere sepolto in Italia, ma in Svizzera ho avuto una bella impressione, gente chiara, precisa, efficiente, veloce». Un piccolo imprenditore tessile commenta: «Se cerchi di espanderti all'estero, qui ti stendono i tappeti rossi. In Italia ti arriva la Guardia di finanza». Gli fa eco un consulente attivo da anni in Ticino: «Gli elvetici non criminalizzano gli imprenditori. Per le stesse accuse, Berlusconi è stato assolto in Svizzera e condannato in Italia».

Certo, c'è il rovescio della medaglia e il sindaco di Chiasso, Moreno Colombo, non lo nasconde. Il suo problema è che la crisi della finanza ha lasciato disoccupazione e parecchi immobili sfitti. Le imprese che vorrebbe attirare non sono manifatturiere, non c'è spazio per nuovi capannoni, e nemmeno gli odiatissimi call-center: «In pochi mesi ne abbiamo fatti chiudere quattro». A Chiasso interessano le aziende di servizi, export, informatica, digitale; ditte sane e innovative, ad alto valore aggiunto, proiettate sull'estero e che possano impiegare i ticinesi qualificati ma senza lavoro. Non tutti i frontalieri sono graditi: «Operai specializzati sì, segretarie e bancari no», sintetizza Colombo. E ancora: «Chi è in crisi in Italia, resti in Italia». Nell'opuscolo distribuito agli imprenditori sono elencate le paghe minime sindacali da cui non si deve sgarrare. Patti chiari.

E per il resto, porte spalancate agli italiani tartassati.

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