diSauro Mencarelli era un elettrauto di quarantaquattro anni e viveva ad Allerona, un piccolo paesino di milleottocento anime in provincia di Terni. Era celibe, non svolgeva vita sociale e di relazione particolarmente attiva e viveva nella casa dei genitori.
Un tipo introverso Sauro Mencarelli che da un po' di tempo aveva iniziato a intrattenere una relazione con una ragazza bosniaca di 32 anni, Sabina Sarach prostituta di professione. Una relazione, quella del Mencarelli con la Sarach, che si consumava nella Punto azzurro scuro dell'elettrauto lungo la strada, e nelle campagne, tra Todi e Baschi. Fu proprio nei pressi di Acqualoreto, un paese frazione di Baschi, che Sauro Mencarelli fu ucciso la mattina del 28 ottobre del 2005. Alle otto di mattina un colpo d'arma da fuoco lo colpì mortalmente mentre si stava sistemando i pantaloni fuori dall'abitacolo della macchina dopo aver avuto un rapporto con la bosniaca.
Le indagini, in principio, parevano dirigersi verso una pista di non intenzionalità del delitto. Forse un bracconiere della zona, inavvertitamente, aveva esploso un colpo di fucile che aveva colpito alla nuca Mencarelli.
Lentamente indagando all'interno delle vite private sia dell'elettrauto sia della bosniaca si scoprirono situazioni particolari e sottaciute. Era, infatti, di dominio comune che il giovane elettrauto avesse dapprima iniziato la sua relazione in modo occasionale con la Sarach ma se ne fosse invaghito dopo poco. Mencarelli voleva che lei smettesse di prostituirsi e aveva contribuito al sostentamento della giovane bosniaca in modo molto generoso.
D'altra parte Sarach era sposata con un uomo che, all'epoca dei fatti, aveva 64 anni e che lei chiamava in modo poco rispettoso «il nonno».
Si scoprì anche che il colpo d'arma da fuoco non era partito da un fucile: la pallottola era stata esplosa da una pistola e da distanza ravvicinata. Sarach quella mattina alle otto, immediatamente dopo l'omicidio, scappò via dirigendosi verso la strada dove fu soccorsa da una collega italiana. Dapprima disse di non aver visto nulla; in seguito, dopo essere stata messa in stato di fermo dalla Procura di Orvieto, dichiarò di aver visto in faccia e riconosciuto l'omicida per lei riconducibile a Franco Crociani.
Crociani all'epoca dei fatti aveva 64 anni faceva il legnaiolo e aveva da più di trent'anni una compagna, Margherita Brozzi. Per quella dichiarazione della prostituta bosniaca Crociani fu arrestato e ritenuto colpevole di un delitto mai commesso. Per due anni fu tenuto lontano dalla sua compagna, dai suoi affetti. Vite ribaltate. La Procura aveva chiesto addirittura 21 anni.
A nulla servì gridare quotidianamente la propria innocenza.
Soltanto una lenta attività investigativa portata avanti dai legali di Crociani fece emergere le molteplici bugie e contraddizioni della prostituta bosniaca.
La prima contraddizione da parte di Sarach fu quella concernente la deposizione: in un primo tempo negava di aver visto in faccia l'assassino poi aveva incolpato il Crociani. A rendere ancora più evidente questa contraddizione ci fu un'intercettazione telefonica in cui la prostituta diceva a un'amica «io dico la verità ma lui non mi crede».
Sarach probabilmente si riferiva al procuratore della Repubblica che la interrogava.
Tre giorni più tardi, Sarach, arrestata cambiò versione.
Furono riscontrate molteplici bugie della giovane bosniaca dette anche all'anziano marito incosciente, prima del matrimonio, della professione della moglie. Con ogni probabilità l'aveva sposato soltanto per ottenere la cittadinanza.
Così il Crociani, che abitava a trecento metri dal luogo del delitto e che era solito fermarsi a parlare con Sarach, risultò essere un colpevole «credibile».
Il movente, per l'accusa che chiese l'ergastolo nei confronti del Crociani, era la gelosia.
Gelosia sia nei confronti della professione esercitata dalla giovane bosniaca che nei confronti del Mencarelli. In realtà il medesimo tema della gelosia lavorava dentro l'animo del Mencarelli che, durante le indagini, risultò essersi innamorato perdutamente della giovane. In paese tutti lo ricordano come un uomo ossessionato dall'amore per la Sarach che andava a trovare anche due o tre volte al giorno portandole regali di ogni tipo.
Le continue bugie resero non credibile le deposizioni della prostituta e cosi dopo venticinque mesi di carcerazione preventiva nel carcere di Perugia il Tribunale di Terni il 18 dicembre del 2007 scagionò Crociani dall'accusa di omicidio.
Se da una parte Crociani ritrovò dopo più di due anni la libertà ingiustamente negatagli, dall'altra anche quest'omicidio rimane ad oggi senza un colpevole.
Testimonianze strappate con pressione psicologica; indagini fatte inseguendo la prima e più facile via investigativa portano a una duplice ingiustizia; innocenti in carcere e i colpevoli ancora in libertà. Come è possibile chiamarla Giustizia?
Giovanni Terzi@terzigio
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